Sulla legge 194: Giulia Carmen Fasolo

Articolo di Giulia Carmen Fasolo pubblicato il 25 giugno 2016. Per leggerlo, clicca qui.

Un ottimo intervento di Giulia Carmen Fasolo sulla Legge 194, che non viene attaccata direttamente ma resa inapplicabile. Un’ ipocrisia italica che ben conosciamo.

“Oggigiorno, cercare un luogo sanitario dove tutto il personale sanitario non abbia scelto l’obiezione di coscienza è cercare un ago in un pagliaio. Così, ciò che una volta era un diritto della donna, ora è divenuto un dovere di accettare l’obiezione di coscienza tout court.”

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‘La delusione della guerra’ di S. Freud

L’Europa senza patrie.
Il Parnaso perduto o mai realizzato nella descrizione di Freud. Un secolo fa?

Da S.Freud, “La delusione della guerra” (1915) . Traduzione di C.L.Musatti.

“E anche vero che si poteva constatare che all’interno di queste nazioni civili erano qua e là frammischiate minoranze etniche quasi sempre non gradite, e perciò ammesse solo controvoglia e non completamente a partecipare al comune lavoro civile, benché si fossero dimostrate sufficientemente idonee a un tale lavoro. Ma gli stessi grandi popoli, si pensava, dovevano aver acquistata tanta comprensione per ciò che fra loro vi è di comune, e tanta tolleranza per quanto vi è di diverso, da non dover più, come ancora avveniva nell’antichità classica, confondere in un unico concetto lo “straniero” e il “nemico”.
Fiduciose in questa unificazione dei popoli civili innumerevoli persone hanno abbandonato la loro casa in patria per trasferirsi all’estero, legando la loro esistenza ai rapporti di scambio esistenti tra popoli amici. E colui che non era trattenuto altrettanto stabilmente in un luogo determinato dalle necessità della vita, poteva costituirsi con i vantaggi e le attrattive dei paesi civili una nuova patria più ampia, dove poteva circolare senza trovare ostacoli o suscitare sospetti. Poteva in tal modo bearsi del mare azzurro e di quello grigio, delle bellezze dei monti nevosi e di quelle delle verdi praterie, dell’incanto della foresta nordica e dello splendore della vegetazione meridionale, dei sentimenti suscitati dai paesaggi legati ai grandi ricordi storici e dell’immobile silenzio della natura inviolata.
Questa nuova patria era per lui anche un museo pieno di tutti i tesori che gli artefici dell’umana civiltà hanno creato in tanti secoli lasciandoli a noi.
(…)
Né si deve scordare che ogni cittadino del mondo civile s’era fatto un suo privato “Parnaso”, una sua “Scuola di Atene”. Fra i grandi pensatori, poeti e artisti di tutte le nazioni, era andato scegliendo coloro ai quali pensava di dovere il meglio di ciò a cui aveva attinto per capire e gustare la vita, e nella sua ammirazione li aveva collocati accanto ai classici antiche e ai familiari maestri del suo paese. Nessuno di questo grandi gli era apparso straniero sol perché aveva parlato in una lingua diversa dalla sua, si trattasse di un acuto esploratore delle umane passioni, o di uno zelatore entusiastico della bellezza, o di un profeta dalle forti invettive, o di un sottile ironista, e mai aveva creduto di doversi sentire per questo colpevole di tradimento verso la nazione o verso la cara lingua materna.

Nella foto:
Idomeni. Bambini in cerchio per un’Europa senza confini.
Da Indipendenti.eu

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L’estate che torna

Carloforte 18 luglio 2015
La bellezza dei luoghi
come l’amore
vive nel trasognato presente
dello sguardo.
Ma più felice è chi conosce l’oscuro confine che sta
tra la perdita e il ritrovamento,
tra la piccola morte di una partenza
e l’assalto della vita
a ogni ritorno
Carloforte – 16 luglio 2015
E’ così che mi piacerebbe vedere il mare:
un lembo di azzurro a cui si arriva
lentamente
dalle braccia di un mandorlo
ai rami del pino
scorrendo lungo la cerniera di coppi
che taglia e raddoppia
l’orizzonte.
Così vorrei che fosse anche la felicità
che non conosce avvicinamento per gradi
né strade di terra e di mare
ma solo il vortice febbricitante del pensiero

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Il boia domestico

Che specie di assassini e/o di stupratori stiamo allevando ed educando? Se non pensiamo che gli uomini siano violenti “per natura” , così come non pensiamo che le donne siano “per natura” inferiori, deboli, madri e/o prostitute, allora sono queste le domande che dobbiamo farci.
Di quale famiglia, di quale scuola, di quale amore stiamo parlando?
Non serve aumentare le pene, sbattere in prima pagina il ‘boia’ di turno, quando il sessismo, la riduzione della donna a “femmina” –cioè fatta essenzialmente per procreare e dare piacere sessuale- è inscritta a caratteri evidenti nella nostra “normalità”, nella cultura alta –quella che si insegna nelle scuole- e nel senso comune, di uomini e purtroppo anche di donne.
Non serve neppure che si cominci ad usare, per la violenza contro le donne, l’aggettivo “strutturale”, se non dice “di che struttura stiamo parlando”: un modello di civiltà, un immaginario d’amore che portano il segno di quello che è stato finora il protagonista unico della storia, l’unico a decidere dei destini di un sesso e dell’altro.
La responsabilità è del singolo, ma nessuno cresce nel deserto, e da quello che vediamo, sarebbe comunque un deserto pieno di mostri.

http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/2016/06/29/news/la-figlia-si-e-salvata-fingendosi-morta-e-saltando-dalla-finestra-1.13741966

Sotirios Pastakas: “Perchè l’arte torni a sorprendere la gente comune”

Un suo scritto: Il compito dell’artista in tempi di antipolitica.
“Perchè l’arte torni a sorprendere la gente comune”
La fisica della poesia
L’arte e la scienza sono mondi paralleli. Le molecole che esistono nella loro unicità, quando si attraggono e si respingono contribuiscono alla creazione dell’universo. Sono fermamente convinto che il principio del kosmos è la parola. La parola dà inizio all’universo. A cominciare da Omero, e ancora di più, prima di lui, da Esiodo, tutta l’umanità ha creduto ed è rimasta entusiasta della poesia. Ciò è continuato fino al 1950 circa, o, per essere più precisi, fino al 6 Agosto 1945: dopo l’esplosione della bomba atomica su Hiroshima, il mondo è stato affascinato da qualcosa che ha finito per erode lentamente il suo interesse per le arti.
Il rapido sviluppo della fisica e della scienza in generale ha spostato lentamente l’interesse dall’arte alle realizzazioni tecnologiche.
Le conquiste della scienza, negli ultimi 50 anni così spettacolari, sono state scolpite nell’ immaginario inconscio di noi tutti, così profondamente da sostituire la sorpresa fino a poco tempo fa fornita solo dall’ arte.
La mia opinione personale è che la crisi, di cui tutte le arti sono travagliate al giorno d’oggi, non sia dovuta ai luoghi comuni che sentiamo tutti i giorni: la crisi degli autori, la debolezza delle opere, la vista incompleta dei media, i ragazzi che non leggono ecc, ecc.
Per anni ho consolidato la mia convinzione personale che le arti hanno cessato di sorprendere la gente comune. La sorpresa la offrono le scoperte scientifiche che bombardano il nostro quotidiano, e che hanno spostato l’ interesse dell’ immaginario collettivo verso le esigenze della Fisica, della Biologia, della Medicina e dell’ informatica.
Il poeta sembra non esserne toccato: bloccato in una routine che spesso è ancora più misera e petulante dei suoi lettori, dissipa il suo “canto” per esperienze quotidiane banali. Il suo dire non ha più l’alibi dell’ unico e dell’ irripetibile.
La poesia, come le altre arti, ha un urgente bisogno di riscoprire la sua natura: che la spinta propulsiva che ha viaggiato da Omero ai giorni nostri ci possa accompagnare fino alla fine del mondo … In principio era il Verbo, sarà ancora la poesia a scrivere la parola fine.
Auspico una Poesia escatologica che prenda ancora una volta il primo posto nelle nostre emozioni. Basta farsi cullare dal pensiero che in ” tempi di antipolitica”, il compito dell’artista è semplicemente mantenere viva la fiamma della candela, con la speranza che ci sarà una nuova era.
Non possiamo più aspettare. Andrej Tarkovskij è l’ultimo poeta che ci ha indicato la via: il Poeta (con la P maiuscola prego) è il cacciatore testardo dell’ assoluto. Per inseguirlo è disposto a sacrificare se stesso.
Solo quando l’artista sarà disposto a inseguire l’assoluto e offrire in sacrificio per il bene dell’ Arte la sua esistenza personale, solo allora saremo di nuovo poeti. Fino ad allora, fino a quando non si manifesteranno questi giovani artisti (nella musica, nei film, nella pittura, nella poesia, nel teatro), l’ Arte rimarrà comunque un prodotto di consumo ad opera di vari servizi culturali, e continuerà a essere molto indietro rispetto al passo della scienza.

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Le “cose ultime”: se fossero invece le “prime” di cui occuparci?

La lucida tragica visionarietà di Otto Weininger vale più di tanti asettici “studi di genere”:

“PEER GYNT” E IBSEN”
“Nel Peer Gynt l’amore e la possibilità della redenzione tramite suo consistono esclusivamente nel fatto che ‘l’uomo proietta sulla donna il suo io migliore, tutto quanto egli vorrebbe amare in se stesso, ma non può perché in lui ciò non esiste allo stato puro’, e ‘con questa scissione egli perviene più agevolmente ad un intenso rapporto con l’idea del bello, del buono e del vero’. E’ questo il motivo psicologico profondo di quell’atto di egoismo maschile che impone alla donna esigenze morali molto superiori a quelle dell’uomo (…) è questa la profonda radice del postulato della purezza, della verginità della donna. Un fenomeno di proiezione analogo a quello che si ha nell’amore vale per l’odio: il demonio è l’oggettivazione geniale di un’idea che ha alleviato a milioni di uomini la lotta contro il male presente nel loro stesso cuore, permettendo loro di proiettare il nemico fuori di sé, e quindi di distinguersi e separarsi da lui. Un atto metafisico di proiezione è così pure la radice universale di ogni dualismo presente nel mondo.”

“Così come dal punto di vista psichico è insito nel coito un elemento analogo all’assassinio, poiché la generazione della vita è affine alla sua soppressione, anche nell’amore più elevato è presente una peculiare “de-realizzazione” della persona amata, che mira a sostituire ad essa la propria superiore realtà (…) l’uomo viole ritrovare se stesso passando per la via traversa costituita dalla donna (…) La donna non è che mezzo per uno scopo, nell’erotismo più elevato così come in quello più infimo.”

“E invece tutta la grandezza morale di Ibsen ed il suo puro eroismo consistono proprio nel fatto che egli pretende che l’uomo consideri la donna come autonomo essere umano, che onori l’idea di umanità anche nella persona della donna, e non ne faccia semplicemente uso come mezzo per uno scopo, come avviene in ogni rapporto erotico (…) Per lui la donna non è più un paradosso della natura, non è più imposta all’uomo perché la porti con sé, nonostante ella sia riluttante; per l’uomo essa costituisce pur sempre il pericolo più insidioso, ma non un ostacolo costante, perenne, contrapposto al suo tendere verso l’ideale di un’umanità superiore. Secondo Ibsen anche il più sublime erotismo dell’artista ‘finora è sempre stato egoistico’, ma uomo e donna possono comunque pervenire entrambi a porsi come individualità.”

“Anche in Ibsen l’identificazione di madre e donna amata non è superficiale effetto destinato ad esprimere un’idea di riconciliazione subito prima della morte, bensì indica quello che madre e donna amata hanno sempre in comune. Non vi è dubbio che spesso (anche se non sempre) la giovane che ama un uomo si pone nei suoi confronti in un rapporto in qualche modo materno: anche l’uomo da cui può avere un figlio è già in un certo senso suo figlio lui stesso; d’altra parte l’uomo che ama la giovane diviene figlio di fronte a lei e può chiamarla madre. In Solvejg è il genio della specie immortale che si presenta a Peer prima della morte. In questo senso la concezione ibseniana ricorda decisamente quella schopenhaureiana della indistruttibilità del nostro essere in sé, il quale non è altro che la volontà di vita della specie; in seguito Ibsen ha superato questa visione del mondo che nega la logica della vita individuale, senza ritornarvi più sopra.”

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IMPUNITI

” Il sindaco di Cosenza assegna un assessorato a Fedele Bisceglia, il francescano al centro di accuse pesantissime di violenza sessuale nei confronti di una donna, Suor Tania.
Dopo l’offesa, la beffa: la delega assessoriale è ‘al contrasto alle povertà, al disagio, alla miseria umana e materiale, al pregiudizio razziale e religioso, alla discriminazione sociale; ambasciatore degli invisibili e degli ultimi “.
Un capovolgimento perfetto, forse un involontario contrappasso: rendere giustizia a chi ha ricevuto offesa e non ha potuto difendersi cioè Suor Tania.
Tutta la mia solidarietà alle donne e amiche carissime del Centro antiviolenza “Roberta Lanzino” ”
L’articolo riportato è di Alessandra Pigliaru, che ringrazio.

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Brexit. Gruppo chiuso o aperto?

Articolo pubblicato il 26 giugno 2016

Storicamente lo straniero, l’uomo che spunta sconosciuto all’orizzonte, è stato, ed è, più spesso nemico che amico. Di qui il riflesso di chiusura del gruppo nei suoi confronti… “. Per questo abbiamo sempre bisogno di mettere al centro di qualsiasi gruppo o comunità, per dirla con Elvio Fachinelli, “l’affermazione e la ricerca di ciò che accomuna tutti…”, ma sappiamo anche che si tratta di un processo permanente perché ogni gruppo è “tentato di cercare la propria sicurezza in un proprio ‘interno’ indiviso…

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Cosa si nasconde dietro la difesa della famiglia tradizionale

Articolo pubblicato su ‘L’Internazionale’ il 24 giugno 2015

La piazza piena di San Giovanni, in occasione della manifestazione del 20 giugno in difesa della famiglia tradizionale, non deve trarci in inganno: il cambiamento è già avvenuto e saranno proprio i figli, per la difesa dei quali padri e madri hanno deciso di manifestare, a viverlo con minori traumi e incertezze.

Dietro le proteste per l’apertura della scuola alle tematiche riguardanti la sessualità e le differenze di genere, non c’è solo il timore di veder crollare quelli che sono stati finora i fondamenti della genitorialità e dei ruoli familiari. Ben più profonda, radicata nell’atto fondativo delle civiltà a cui ha dato vita una comunità storica di soli uomini, è l’incertezza di una posizione “virile” perennemente minacciata dallo stesso impianto sociale che dovrebbe sostenerla: un legame di interessi, amicizie, amori, ideali condivisi tra simili. L’esclusione delle donne dalla scena pubblica non ha impedito che il “femminile” continuasse ad abitare questo impianto sociale, in quanto allo stesso tempo cemento indispensabile e mina vagante all’interno di una collettività omosociale.

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Brexit o remain, gruppo chiuso o gruppo aperto?

C’era una volta la buona abitudine di analizzare i fenomeni più inquietanti andando alla radice, alle ragioni inconsapevoli da cui erano mossi, proprio per evitare che si ripetessero. Era chiaro che le migrazioni in massa verso l’Europa, lasciate allo sbando, avrebbero creato allarme, non importa quanto reale o immaginario, paure di essere invasi, danneggiati, espropriati da “stranieri”, e, conseguentemente, arroccamenti difensivi, ricerca di capri espiatori -cioè nuovi ‘nemici’ al proprio interno (vedi oggi in Inghilterra: gli anziani, le periferie, i contadini, gli ignoranti, ecc.).
Lo scritto di Elvio Fachinelli, “Gruppo chiuso o gruppo aperto?”, nato
dall’esperienza del controcorso – un gruppo di analisi su settarismo e accomunamento- nel ’68 all’Istituto Superiore di Scienze Sociali all’Università di Trento e inserito nel libro “Il bambino dalle uova d’oro”, Feltrinelli 1974, appare oggi purtroppo ancora una volta di una lucidità tristemente profetica. Senza andare troppo in là con gli anni, basterebbe ricordare cosa è successo nei Balcani e porsi qualche interrogativo su dove stiamo pericolosamente andando.
Alcuni frammenti
(da Elvio Fachinelli, “Il bambino dalle uova d’oro”, Feltrinelli 1974)
“Abbiamo delineato due movimenti di gruppo che, usando modalità formalmente simili, giungono a conclusioni radicalmente divergenti. La prima soluzione, quella che porta al gruppo sempre più chiuso, appare all’inizio come la più ‘realistica’, la meglio motivata sul piano dei compiti pratici, effettivi; ma il suo sviluppo tende a smentire nettamente le sue motivazioni di partenza. Le inevitabili pulsioni e frammentazioni interne, che sono il frutto di una continua difesa dell’ideale del gruppo continuamente minacciato, segnano il percorso di un ‘processo di settarizzazione’. La seconda soluzione -quella che da inizio a uno svolgimento opposto, di tipo espansivo- nel nostro caso non ha neppure avuto la possibilità di cominciare; è chiaro dunque che ad essa si oppongono grosse difficoltà, tali da renderla, non irreale, ma certamente ‘rara’. Potremmo chiamarla ‘processo di accomunamento’, anche se il termine non rende affatto l’intensità dello svolgimento, che si incarna compiutamente nel punto più alto, più espansivo, di uno sviluppo rivoluzionario. La difficoltà di trovare una parola che centri il fenomeno corrisponde dunque alla rarità del fenomeno stesso.
Esso presuppone infatti un uso assolutamente inconsueto di uno degli schemi più forti di comportamento e di formazione del gruppo: quello che ne fonda la coesione sulla presenza di un altro gruppo esterno ad esso. Storicamente lo straniero, l’uomo che spunta sconosciuto all’orizzonte, è stato, ed è, più spesso nemico che amico. Di qui il riflesso di chiusura del gruppo nei suoi confronti, che è tanto più forte quanto più il gruppo è internamente debole, incerto, diviso, e che riesce a dargli momentaneamente una sua unità e una sua forza. Il processo di settarizzazione sembra dunque ripetere, esasperandolo, moltiplicandolo, questo riflesso di difesa rispetto a un ‘esterno’ percepito quasi esclusivamente come nemico, come negativo.
(…)
Ma il processo di accomunamento, ed è qui la sua eccezionalità, riesce a capovolgere questo riflesso sedimentato nella collettività, e da cui anch’esso trae origine: l’esercito agguerrito che schiaccia la setta diventa per esso la massa sterminata offerta alla propria comunicazione. E’, in altre parole, quella diversa valutazione dell’estraneo che abbiamo visto profilarsi nel nostro gruppo. Perché questo avvenga, occorre però che la comunicazione, la generalizzazione, l’affermazione e la ricerca di ‘ciò che accomuna tutti’, sia la parte essenziale del bene interno che viene comunicato.
(…)
Certo non ha vinto! Ogni ostacolo incontrato, esterno o interno, tende a far sì che il gruppo, o una sua parte, sia tentato di abbandonare, nei fatti, l’azione di comunicazione iniziata; sia tentato di cercare la propria sicurezza in un proprio ‘interno’ indiviso. A questo punto il processo di accomunamento rischia continuamente di capovolgersi in modo talora rapidissimo, nel processo opposto…”

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