La teoria ha i piedi freddi (‘Lo strabismo della memoria’)

Frammenti

Un’evidenza teorica, prima di salire al cielo platonico delle idee e lasciarsi vedere da tutti alla luce del sole, sembra che debba scavare cunicoli nella terra, sciogliere i lacci del corpo dove è nata, disaffezionarsi alle ombre con cui si è confusa così a lungo.
(…)
Ci sono libri che non hanno inizio né fine. Vanno aderenti alla vita, e, come capita nella vita, si ripetono, tornano ossessivamente sugli stessi luoghi, si arrestano e poi ci riprovano.
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Il calore che si addensa nella testa e fa ribollire le idee, incapace di spingersi fino all’estremità opposta, conosce gli impacci e le contrarietà di chi si muove in un luogo straniero, sconosciuto al corpo che lo ospita e che silenziosamente gli muove guerra.
Circondata dal riguardo che gli uomini hanno sempre riservato ai grandi orizzonti interpretativi della loro sorte, la teoria trova strade facili e generale consenso, ma ha in piedi freddi.
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Chi ha dovuto aprirsi un varco in un muro di corpi, capaci di rabbie violente e di fragilità impreviste, ama il frastuono come il silenzio, il calore estenuante di un interno affollato come le linee di un paesaggio deserto. E se è certo di non poter sostare da nessuna parte, né di poter consolare la solitudine con la compagnia, si augura almeno che sia come da bambini, quando si usciva fuori da un ‘trebbo’ nelle gelate d’inverno e si portavano avvolti nelle sciarpe i colori accesi del fuoco, del vino e dei racconti delle donne.
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Separata dai luoghi di origine, dove gli sforzi della sopravvivenza e i gesti violenti e teneri della sessualità restano senza nome, la scuola aveva pareti misteriose e lontane come le pagine di un vocabolario straniero.
Costretta a muoversi, suo malgrado, dove non era possibile tastare la terra sotto i piedi, un’allieva affezionata ai sentieri dei campi come ai richiami di città sconosciute, confondeva “Le Opere e i Giorni” di una letteratura antica con il lavoro interminabile dei suoi parenti.
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Di un bambino che nasce si dice comunemente che “viene alla luce”. Forse sarebbe più giusto dire che è il mondo che gli cade addosso, e che dopo quell’invasione inaspettata non basta una vita o una storia millenaria, se si parla dell’origine della specie, a ristabilire confini, a pacificare la memoria di ciò che si è vissuto prima, con la catena ininterrotta degli eventi che gli hanno fatto seguito.
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Come se fossero le opposte sponde di un asse che un improvviso fulmine ha spezzato in due, il maschio e la femmina -il corpo e il pensiero, la realtà e il sogno, l’infanzia e la storia- giacciono nella lontananza riconoscibili gli uni agli altri solo per la mutilazione subita.

(da L.Melandri, “Lo strabismo della memoria”, La Tartaruga edizioni, 1991)

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