Perché oggi possiamo pensare di cambiare i ruoli di potere

“Che altro sono il populismo, la “normalità”, il risentimento verso la “politica” tradizionalmente intesa, da cui viene il consenso a una figura “impresentabile” come Trump, se non quel retroterra che la civiltà ha creduto di poter controllare, tenere fuori dalla scena pubblica, dalle sue istituzioni, dai suoi “valori”, identificato per secoli col destino femminile? Se Bill Clinton dovette umilmente piegarsi a processo mediatico planetario senza precedenti, Trump può esibire con arroganza e vanteria la sua prestanza virile perché il capovolgimento temuto e tenuto a bada per secoli tra il corpo e la polis, la sessualità e la politica, oggi è sotto gli occhi di tutti. È passato quasi mezzo secolo da quando una generazione di donne “imprevista” sulla scena del mondo ha preso parola per dire “il personale è politico”. Oggi finalmente è chiaro – è quello che si legge nell’articolo di Mauro Magatti- che «quanto sta accadendo negli Stati Uniti ci riguarda tutti, uomini e donne».

Articolo pubblicato su La27Ora il 17 ottobre 2016, clicca qui per leggerlo

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Le cento vite del ‘privato’

“Ti collegheremo con la parte più nascosta di te. Chiudi gli occhi e guarda bene. Dentro di te possono esserci desideri e passioni ancora da esplorare. Risorse che non sapevi di avere. Noi di Wind, Infostrada e Italia OnLine possiamo darti i mezzi e i contenuti per scoprirlo. La vita più breve per arrivare a te, passa da noi”.

“C’è sempre una strada che porta a te stesso. Anche se non è asfaltata, con Volvo Cross Country è piacevole percorrerla.”

Chiamati a “esporre tutta la propria vita alla luce”, a “pubblicizzare se stessi” (J.Baudrillard), gli individui si rivelano un medium eccezionale, universale quanto basta per richiamare l’identificazione di milioni di persone, e nello stesso tempo unico tanto da potervi riconoscere la singolarità di ogni essere.
Ma è uno strano individuo quello che si affaccia oggi all’orizzonte unificato del mondo, spinto da una sorta di “solipsismo collettivo”, solo e sempre più esposto allo sguardo degli altri, sollecitato a fare del godimento un “fattore politico”, ma costretto a calarlo nella “società più regolata che la storia abbia mai conosciuto” (S.Zizek), desideroso di forme sempre più dirette di democrazia, ma preso dentro le maglie di un consenso manipolato dai media.
L’impressione che tutto sia già stato detto e, nello stesso tempo, che l’essenza misteriosa dell’umano ancora si sottragga alla conoscenza, è confermata dalla frequenza con cui compare da un po’ di tempo negli spot pubblicitari l’invito a scavare più a fondo dentro di sé.
A questo punto sarebbe interessante chiedersi quale è il vero volto del “privato” a cui si dà tanto spazio sulla scena pubblica. Perché, nonostante la vistosa sovraesposizione, resta il dubbio che ci sia ancora molto o tutto da capire?

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Lo scarto irriducibile

“L’azione per la quale il padre e il fallo diventano riferimenti universali si colloca all’origine della storia e ne determina radicalmente lo sviluppo, ma anche fuori dalla storia finché i protagonista non ne prendono coscienza, finché il rapporto uomo-donna non cessa di essere una specie di storia nella storia”.

(Da ‘L’infamia originaria’, su Pensiero femminista radicale, clicca qui

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Naturale

NATURALE
La famiglia “naturale” è attraversata da vistosi cambiamenti. Quello che ancora manca è una profonda messa in discussione dell’aggettivo naturale, l’asse portante ideologico della violenta differenziazione tra i sessi e di ogni altra forma di dominio.

Articolo pubblicato il 19 ottobre 2016 su Comune-info.net, per leggerlo clicca qui 

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Facciamo sinistra. Mi interessa, ma a certe condizioni.

“…La cultura politica nata dal femminismo è stata ostacolata o cancellata proprio da chi più aveva più interesse a farla propria per un impegno che non volesse mutilarsi di alcune delle ragioni essenziali dell’agire politico: la vita personale, la relazione tra i sessi, le problematiche del corpo e delle passioni che lo hanno come parte in causa. Oggi, questa materia considerata solo un ingombro della politica, è quella di cui si alimenta l’antipolitica. Si poteva evitare? Forse sì, se qualcuno dei tanti movimenti che hanno riempito le piazze in questi ultimi decenni, avessero fatto attenzione alla portata rivoluzionaria dello slogan “il personale è politico”, che è stata l’intuizione più radicale del movimento delle donne degli anni Settanta. La condizione per uscire dal senso di estraneità che per me è venuta crescendo in questi ultimi tempi, e tornare a immaginare che sia possibile “fare sinistra” insieme, uomini e donne, è che siano proprio quei principi su cui è mossa finora la sinistra, riformista o radicale, partitica o non partitica, a essere interrogati dal punto di vista dell’appartenenza di sesso e di un’idea di rivoluzione che è rimasta finora mutilata dell’unico cambiamento che potrebbe terremotare separazioni note -tra corpo e pensiero, sessualità e politica, natura e cultura, individuo e società-, e aprire la strada alla scoperta dei nessi che ci sono sempre stati tra un polo e l’altro.”

Articolo pubblicato il 18 ottobre 2016 su facciamosinistra.blogspot.com, per leggerlo clicca qui

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Rossana Rossanda, ‘Lei non può non vedersi vista’

Rossana Rossanda, “Una soglia sul mistero”, Lapis n.8, giugno 1990
“Anche se ha sgobbato e faticato nei millenni, nell’immaginario o simbolico non è definita dal fare, che è storico e contingente, ma dall’«apparire» in funzioni eterne, come la maternità e la seduzione. La prima sacrale e sacrificale, la seconda almeno nelle società patriarcali suo potere specifico e in qualche misura pericoloso per l’uomo, il quale è secondariamente se non per nulla seduttivo.
A lei la seduzione è così inerente che il «come appare» è decisivo: è anzitutto «vista». Uno specchio la accompagna sempre: è lo sguardo dell’uomo sul suo corpo, per cui è prima di tutto bella o brutta, bionda o bruna, gambe e seni e fianchi. Lei non può non vedersi vista. Le donne che fanno come se questo non fosse sono considerate virago, negatrici di sè. E sono rarissime.
Siamo così avvezze a curare la nostra apparenza, che appare eccentrico il non farlo. E sappiamo che il messaggio che con l’apparenza mandiamo non funge anzitutto da rivelatore dello status sociale ma del nostro corpo, enfatizzato dall’abito e dal maquillage. E per noi più che per l’uomo una deformazione, o la vecchiezza che sempre la comporta, fa un qualche ribrezzo, è una caricatura, un laido degenerare. Crudelissimo è lo standing cui la donna è sottoposta anche di fronte a se stessa: mi vesto «per me», mi trucco per me. Donna è bello. È beninteso una rivendicazione di autonomia. Ma l’aggettivo non è scelto a caso. Bellezza appartiene alla donna nel senso che se non è bella non è. O dev’essere una donna straordinariamente superiore, e anche allora si dice «malgrado…».
Il canone resta per lei obbligatorio, per l’uomo no. Ne viene che la nostra percezione del corpo deve attraversare, oltre a tutte le interdizioni primarie, uno spesso diaframma culturale. Se per uomo e donna il corpo «non si sa», o si sa meno di quanto si sappia di qualunque altro oggetto prossimo e presente, il corpo femminile si sa probabilmente meno di quello maschile per lo schermo dell’immagine/modello imposta alla donna in tutte le civiltà e attinente al suo ruolo sessuale.
In quanto tale, questa immagine di sè, differentemente da quella maschile che si realizza in molte altre rappresentazioni, ha del sesso l’oscurità e il pericolo, la natura estrema di momento di accettazione o rifiuto, di esperienza limite. (Che un po’ ingenuamente le bene intenzionate «liberazioni sessuali» tentano di addomesticare in tecnica soddisfacente, ridotta nell’impatto emotivo. Ancora una suggestione maschile, chissà quanto veritiera: far l’amore vuol dire sentirsi meglio, come l’assetato bene una spremuta d’arancio, con un poco di affettività in più e via).
Il dover fare i conti con questa immagine coattiva, con il vedersi vista, complica il rapporto femminile col corpo aggiungendosi al carico simbolico della maternità; sono due corazze che le vengono pesantemente collocate sul «guscio». Che in lei è importantissimo anche in senso stretto, di pelle.”

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Lea, perché?

“Chi pensa che il privato da non toccare siano solo “panni sporchi” della famiglia o “i sanitari del cesso”, è perfettamente in linea con la visione classica, storicamente accreditata, della politica che ha creduto di poter rinchiudere nelle case gli aspetti meno presentabili dell’umano, perché più vicini alla natura animale: i corpi, le donne, la sessualità, la malattia, la vecchiaia, la morte. Lo stesso si può dire di quanti, a destra e a sinistra, si affannano a ricordare che ci si sta dimenticando dei bisogni sociali “veri”, come se la volgarità, il voyeurismo, la bigotteria, non fossero il risvolto violento e deformante dell’insignificanza in cui sono tenuti da secoli di patriarcato la relazione tra i sessi, l’amore, la sessualità, la conservazione della vita, cioè quella parte enorme, insondata, della storia che ha al centro la persona nella sua interezza, e che solo la difesa del privilegio maschile ha potuto confinare in un immobile ordine di natura.”

Da ”Perché ‘il personale è politico’ resta solo uno slogan”, su Università delle Donne

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‘Quelle madri pentite di aver avuto figli’ di Stefania Prandi

“Pensieri, per quanto inconfessabili, più comuni di quanto si creda, ci racconta Francesca, 38enne insegnante bolognese con un bambino di un anno. «Siamo in molte a chiederci se ne sia valsa la pena. Io non ho mai sentito la vocazione, se così possiamo chiamarla, ma poi un giorno ho pensato che forse mi stavo perdendo qualcosa, e così mi sono buttata. Non è che io non voglia bene a mio figlio, lo amo tantissimo, ma anche se ho un marito tutto grava sulle mie spalle, perché io sono la madre». Ilaria, 36enne, ricercatrice, una figlia di tre anni, ci confessa che non si aspettava «tutto questo peso addosso”.
«Abbiamo questa immagine di madre che ci viene passata dalle canzoni, dal cinema, dalla pubblicità, che prevede che per i figli ci debba essere amore abnegato, totale e assoluto. La verità, però, è che non per tutte è così perché siamo persone e la nostra individualità fatica a coesistere con l’immagine della mamma perfetta. Quando proviamo sentimenti contraddittori ci sentiamo in colpa, e non possiamo nemmeno parlarne pubblicamente perché veniamo tacciate di egoismo e irresponsabilità».

Da ‘Quelle madri pentite di aver avuto figli‘ di Stefania Prandi, pubblicato il 23 ottobre 2016 su Pagina99

Articolo in spagnolo su Orna Donath

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Appartenenze e condivisione di intimità le nuove forme di vivere insieme?

“Nessuno è più nel luogo dov’è, nessuno parla più a chi ha di fronte, nessuno pensa più di avere beni in comune con altri da difendere. Eppure, in quelle “intimità” portate fuori dalle case, dalle famiglie, dalle coppie, dalla cerchia ristretta degli amici, gridate nello spazio pubblico da cui sono state per millenni escluse, ognuno, se avesse voglia di prestare ascolto, potrebbe leggere passioni, gioie, sofferenze, che sono dell’umanità, prima che di questa o quella particolare cultura”.

”Appartenenze e condivisione di intimità le nuove forme del vivere insieme?”, su Tysm. Pubblicato il 26 aprile 2016. Ultimo accesso: 28 ottobre 2016. Clicca qui per leggere l’articolo completo

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Il circolo degli uomini e i privilegi rimossi

Facciamola finita col Cuore e la Politica

Quando il cuore e la politica perderanno la maiuscola,
nessuno si meraviglierà se vede crescere giardini in mezzo ai casermoni urbani
e donne costruire palazzi
di città sconosciute.

“Se hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli, “prendere coscienza” di un’oppressione, peraltro evidente, e sopportare che questa lucidità si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire dopo ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione del mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una via di accesso più facile alla messa a nudo del sessismo, delle logiche d’amore e di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi della civiltà. Perché allora quella difesa estrema, sempre meno convinta eppure ostinata, della neutralità, che si esprime non solo nel cancellare dalle analisi politiche il rapporto tra i sessi, ma anche in quella copertura che è la sua distorta collocazione tra le questioni sociali: emarginazione, cittadinanza incompleta, sfruttamento economico, beni comuni, ecc.?”

Articolo pubblicato su Comune-info.net il 26 ottobre 2016, per leggerlo clicca qui

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