Noi «divise», gli uomini «compatti» al potere. Ma qualcosa è cambiato

“Il rimprovero che viene fatto alle femministe è la facilità con cui i loro gruppi continuano a «dividersi, frammentarsi, disgregarsi», allontanandole dall’obiettivo di una presenza paritaria in politica. Ciò di cui le donne mancherebbero, per incidere sulla vita pubblica come forza collettiva, sarebbe la «coesione» e la «compattezza» che ha permesso agli uomini di conquistare potere e di spartirselo. Il prezzo, così come viene solitamente descritto, ricorda l’aspetto più deteriore della politica maschile: risparmiare o rinviare a migliore occasione la critica, anche quando si è in disaccordo, sostenere candidati del proprio schieramento anche quando non li si considera idonei al loro ruolo, limitandosi a «detestarli silenziosamente», rinunciare alla «schiettezza» e alla voglia di esprimere le proprie emozioni, mantenere la distanza «tra l’amore e la civile convivenza». Non si può non restare perplessi di fronte a un’idea di convivenza che sembra tutto fuorché «civile», fatta di reticenze e odi mascherati, ma soprattutto di compattezze costruite sull’irrigidimento di fedeltà e appartenenza, che come sappiamo hanno sempre avuto come contropartita l’esclusione dell’altro, del diverso, vissuto come un pericolo per l’integrità del gruppo.”

Articolo pubblicato il 22.XI.2016 (ultima modifica, 24.XI.16, 11.47 su la27ora, 27esimaora.corriere.it, per leggerlo clicca qui

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‘Storie e contraddizioni da superare nella giornata contro la violenza sulle donne’

“Il 26 novembre si terrà a Roma una manifestazione promossa da una vasta rete nazionale i cui slogan “Io decido”, “Non una in meno” dicono della rabbia crescente di chi ha sopportato troppo a lungo gli ostacoli frapposti alla propria libertà, al proprio piacere – dalla violenza manifesta alle pressioni psicologiche, alla condanna morale. Non sarà un caso che con tanta tempestività papa Bergoglio conceda a nome della chiesa il perdono alle donne che abortiscono, considerate “assassine” da tutte le religioni e da tanti “rispettabili” governi del mondo. Si può dire che le folle oceaniche che si sono viste negli ultimi tempi colorare le piazze, dall’Europa all’America Latina, hanno lasciato il segno. Ma chi “perdonerà” gli uomini per aver imposto con un asservimento violento la loro sessualità procreativa, costretto le donne a mettere a rischio la loro vita, prima per assecondare i bisogni e desideri altrui, oggi per affermare i propri?”

Articolo pubblicato sull’ ‘Internazionale’ il 24.XI.2016, per leggerlo clicca qui 

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‘Non smetteremo di colorare le piazze’

‘La grande manifestazione delle donne di sabato 26 (#Nonunainmeno) contro la violenza e il dominio maschili ha radici antiche, nessi evidenti con i movimenti che negli ultimi mesi hanno sorpreso molti paesi e un futuro prossimo fatto di ribellioni nella vita di ogni giorno. “È stato necessario, e lo è ancora oggi, che nelle piazze tornassero a manifestare per iniziativa di collettivi, gruppi femministi e lesbici – scrive Lea Melandri -, generazioni di donne che non hanno mai smesso dagli anni Settanta di portare l’attenzione su un dominio particolare, fondamento di tutte le forme di oppressione finora conosciute e, allo stesso tempo, così sfuggente da confondersi con le relazioni più intime…”. In questa pagina alcune foto delle manifestazioni di donne in Argentina, Irlanda e Polonia. La prima foto e quelle in coda sono del 26 novembre a Roma (ringraziamo le lettrici e i lettori che le hanno messe in… Comune in rete).’

Articolo pubblicato su Comune-info.net il 24.XI.2016, per leggerlo clicca qui 

La violenza sulle donne non è un’eccezione

‘Il dominio dell’uomo sulla donna si distingue da tutti gli altri rapporti storici di potere per le sue implicazioni profonde e contraddittorie. Innanzi tutto, la confusione tra amore e violenza: siamo di fronte a un dominio che nasce e si impone all’interno di relazioni intime, come la sessualità e la maternità. Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte. Si distrugge per conservare, si uccide per troppo amore, si idealizza l’appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto come nemico.

In uno dei suoi saggi più famosi – Il disagio della civiltà (1929) – Freud, dopo aver descritto Eros e Tanatos, amore e morte, come due pulsioni originarie, è costretto a riconoscere che sono meno polarizzate di quanto sembri. E dove l’intreccio è più sorprendente è proprio nel rapporto con l’oggetto d’amore.’

Articolo pubblicato sull’ ‘Internazione’ il 25.XI.2014, per leggere l’articolo completo clicca qui

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Il femminismo in una grande manifestazione a Roma

26.XI.2016

Valeva la pena aspettare dieci anni per ritrovarci di nuovo in tante e poter dire che siamo un movimento, anche solo per un giorno, e non solo una rete virtuale, anche se le reti ci sono state di aiuto come spinta a uscire dalla carsicità.
Confluire in massa in una storica piazza di tutte le proteste, quale è piazza San Giovanni a Roma, è sicuramente il modo più felice per rispondere a una ricorrenza, come il 25 novembre, che felice non è. Una manifestazione come quella di oggi, come quelle che si sono succedute da quarant’anni a questa parte, devono darci il coraggio di dire che il femminismo, in tutta la varietà delle sue pratiche, dei suoi gruppi, collettivi, associazioni, ecc –o forse proprio per questa varietà- è l’unico movimento sopravvissuto agli anni ’70, l’unico che nonostante la messa sotto silenzio, l’ostilità che incontra nel nostro Paese in particolare, non ha mai smesso di riempire le piazze con donne di generazioni diverse, che non ha mai smesso, pur con tante contraddizioni, di ripresentarsi con la radicalità dei suoi inizi.

Non mi soffermerò sulle tante ragioni che ci hanno portato qui. Sulla violenza sappiamo molto, molto abbiamo detto e scritto analizzato, sia sulle sue forme manifeste -stupri, omicidi, maltrattamenti- sia su quelle meno visibili e perciò più subdole, più ambigue, che passano nella “normalità”, nel senso comune, nei gesti e nelle parole della quotidianità, e dell’amore così come lo abbiamo inteso o male inteso finora. Non si uccide per amore, ma l’amore c’entra, c’entrano quei vincoli di indispensabilità reciproca presenti anche là dove non ce n’è bisogno, c’entra l’infantilizzazione dei rapporti all’interno delle famiglie. Di quanto sia complesso liberarsi di rapporti di potere che si sono confusi con le esperienze più intime, sappiamo molto e molto dovremo ancora scoprire, analizzare.

Ma c’è un altro modo per parlare della violenza, che viene visto meno. E’ il fatto che da mezzo secolo a questa parte, le donne hanno dato vita a una cultura e a pratiche politiche per contrastare la violenza maschile in tutte le sue forme,a partire da quei segni profondi che ha lasciato dentro di noi, costrette a incorporare quella stessa visione del mondo che ci ha segregate fuori dalla vita pubblica, identificate con la natura, il corpo, la conservazione della specie. Abbiamo scritto e detto più volte che il sessismo è l’atto di nascita della politica, intendendo con questo sottolineare che il rapporto di potere tra i sessi è l’impianto originario di tutte le oppressioni e disuguaglianze che la storia ha conosciuto.

Forse è il momento di dire con chiarezza quello che non siamo più disposte a tollerare:
-che questo patrimonio di sapere, consapevolezze, studi, battaglie vinte venga messo sotto silenzio, lasciato negli archivi e che qualcuno ancora si permetta dire che il femminismo è morto o silenzioso;
-che quando interviene una “parola pubblica” a istituzionalizzare pratiche nate dal femminismo, come i consultori, i centri antiviolenza, ciò significhi emarginare le persone che vi hanno dato vita, cancellare l’autonomia delle pratiche che li ha caratterizzati. Mi riferisco al Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere dove i centri antiviolenza finiscono per essere confusi con il Terzo settore, i servizi sociali.
-che si parli tanto di educazione di genere e si lascino le donne che insegnano, quasi tutte precarie, a dover affrontare campagne denigratorie da parte di presidi e famiglie, rischiare il posto di lavoro, affrontare temi che richiedono una formazione, senza avere la certezza di finanziamenti al riguardo.

Siamo qui per dire che non dimentichiamo le donne che la violenza l’hanno subita nella sua forma più selvaggia, ma che non vogliamo più leggere su un giornale o sentire in un commento televisivo che sono “vittime” della passione o della gelosia di un uomo. Sono donne che hanno pagato il prezzo di una affermazione di libertà: quella, inconsueta per un dominio maschile secolare, della donna che dice “Io decido” della mia vita, della mia sessualità, di avere o non avere figli.

Vorrei che ci portassimo a casa questi due bellissimi slogan –“Io decido”, “Non una in meno”- per dire che continueremo a batterci contro imposizioni esterne, controlli, divieti, intimidazioni, ma anche per la liberazione da modelli, pregiudizi, leggi non scritte che ci portiamo dentro e che ci impediscono di trovare la forza collettiva di cui abbiamo bisogno. Se non possiamo condividere la varietà delle nostre pratiche, teniamoci almeno disponibili a momenti come questo e forse riusciremo a trovare quei “nessi” che legano la specificità dei nostri interessi, delle nostre esperienze, delle nostre storie.

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“Le passioni di Lea”

a cura di Piera Nobili, Maria Paola Patuelli, Serena Simoni,
Longo Editore Ravenna, 2006.

Un seminario, un percorso di scritture e di amicizie,luoghi, origini ritrovate.

Dall’Introduzione delle curatrici:

“Un lavoro lento e ricco che è conservato nella sua pienezza con nastri registrati e sbobinature nell’archivio dell’Università degli Adulti di Ravenna. Ci siamo accorte subito, confortate anche dalla soddisfazione di Lea che ha condiviso con noi la gioia di ‘averla riportata a casa’, che l’incontro era produttivo e che in qualche modo si poteva procedere alla vendemmia.
Per vendemmiare abbiamo progettato il Seminario 2004-2005 come laboratorio di scrittura, che Lea ha introdotto con una lezione sulla ‘sua scrittura’. Le scritture dell’anno precedente e le nuove sono diventate oggetto di riflessione,di riconsiderazione, di scambio ulteriore fra le corsiste, e fra le corsiste e Lea, fino alla decisione maturata attraverso un intreccio di desideri convergenti di mettere definitivamente nero su bianco, trasformando in menabò condiviso l’itinerario compiuto.
Ai primi due anni di lavoro, se ne è aggiunto un altro, fatto di aggiustamenti e scelte definitive. Lea ci ha fatto il dono di scrivere con noi, recuperando la conferenza pubblica del 2004, la sua lezione introduttiva al laboratorio di scrittura e una sua riflessione di sintesi dopo l’intero percorso, ricambiando così le nostre scritture a partire dal suo pensiero. Un ‘partire da sé’ ce ha sollecitato scritture ‘soggettive’ d’esperienza o riflessioni teoriche. In ogni caso è stato un mettersi in movimento.
Siamo forse in contraddizione volendo fermare in un libro quella che è stata un’esperienza ‘mobile’, un percorso e uno scambio? Le parole dette sono state molte di più di quelle qui pubblicate: un iceberg ‘caldo’ con una piccola punta. Ci è piaciuto mostrarla per poterla così mettere al sicuro dall’oblio sempre in agguato: sottrarre al silenzio.”

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Verso il 26.XI

Grazie a Cristina Obber che mi hai ricordato la fiaccolata che si tenne a Milano per ricordare Stefania Noce e per dire basta alla violenza contro le donne, in tutte le sue forme, private e pubbliche.
Riprendo il video di GIULIA. globalist.it
perché lo ritengo purtroppo ancora attuale e come invito a partecipare alla manifestazione del 26 novembre a Roma.

Intervista a Lea Melandri del 26.I.2012

 

di Sotirios Pastakas

Πίτσα, ίντερνετ,
πράσινες μπύρες.
Μετρώ τα λάικ
στο φέισμπουκ.
Με 4.798 φίλους
μόνος μου να τρώω
κάθε βράδυ.

Pizza, internet
green beers.
I count the likes
on face-book.
With 4,798 friends
and here I am eating alone
every night.

(Ροή Ρακής, Flow of raki)

Παστάκας, Σ. (2014), Συσσίτιο, Forepaw Press, σελ. 85 / Pastakas, S.(2014), Food line, Forepaw Press, p. 85

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