Alfabeto d’origine

Quasi un’autobiografia

Quei pochi libri in cui di volta in volta ho creduto di riscontrare la ‘spudoratezza’ necessaria per nominare “il mondo delle cose che non siamo stati capaci fino a questo punto di dire” (Alberto Asor Rosa), sono diventati, nel lento e ripetuto vaglio a cui li ho sottoposti, accompagnatori e guide di un viaggio verso un passato pervicacemente muto, avaro di ricordi, sepolto nella memoria del corpo. È come se ognuno di quei ‘reperti’, strappati al loro contesto, e persino alla mano da cui erano usciti, potesse parlare per me, e l’intimità che è mancata nelle mie relazioni reali avvalersi del sostegno di parole, sentimenti, sogni in cui riconosceva parentele sorprendenti.

(Dalla Prefazione al mio libro “Alfabeto d’origine”, in preparazione presso l’editore Neri Pozza per il 2016)

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Regali di Natale

12 dicembre 1976
Incontro con il gruppo di donne casalinghe che sono riuscite a fare aprire un corso 150 ore nella loro zona: Affori Bovisasca. Comincia con loro un percorso di dieci anni che arriva fino alla nascita della Libera Università delle donne di Milano nel 1987.
13 dicembre 2016
incontro nella sede occupata di Ri-Make in zona Affori con le ragazze dei tanti gruppi che hanno partecipato alla manifestazione a Roma del 26 novembre.
La coincidenza è tale che posso permettermi il sogno di una ripresa, quanto meno fino all’appuntamento che si è data la rete “Non una di Meno”: lo sciopero dell’8 marzo 2017 “Una giornata senza di noi”.

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Le orme della scrittura

(Frammenti da un’intervista di Giovanni Zaccherini, pubblicata su “La voce di Romagna”, 14/12/2012)
Quando penso ai 25 anni che ho trascorso in Romagna, alla condizione di povertà, fatica e violenza in cui vivevano allora le famiglie contadine, mi sembra di aver vissuto un’altra vita, fatta di un tempo infinito e di orizzonti lontani solo presentiti, oltre la riva di un canale o un filare di viti. Non posso dire di averne riportato solo dolore e ferite profonde. Quando parlo di “memoria del corpo”, di sedimenti emotivi, immaginari, che non riescono neppure a diventare ricordi, ma che ci sono e muovono pensieri, stati d’animo, sbalzi inaspettati di umore, penso a quella radice di terra, temprata da donne e uomini di straordinaria vitalità, pur costretti a lavori servili, capaci di passare dalla zappa al ballo, dall’ira alla battuta di spirito. Delle donne conosciute allora ho portato con me un’idea contraddittoria, confusa, su cui ho avuto modo di riflettere solo in seguito alla luce della consapevolezza nuova che mi veniva dal femminismo. Le sentivo forti più dei loro mariti e padri, per certi versi emancipate, nel lavoro, nella sessualità, eppure sottomesse, sottoposte a maltrattamenti, lucide e impietose nel mettere allo scoperto le debolezze e la violenza maschile, ma sentimentalmente inclini a perdonarli e a sostenerli, come si fa coi bambini.
(…)
Non c’è dubbio: il passaggio dal dialetto, la lingua parlata in famiglia, all’italiano imparato a scuola, ha provocato fin dalle elementari una separazione destinata a durare tra la fisicità dominante, per la classe sociale e il sesso “senza storia” a cui appartenevo, e un pensiero che non poteva raccoglierla, tradurla nei linguaggi colti della letteratura, dell’arte, della filosofia. Il dualismo, corpo-mente, natura-cultura, è diventato non a caso il filo conduttore di tutta la mia formazione intellettuale. Il mondo emotivo, legato alla mia infanzia e adolescenza è rimasto in gran parte consegnato al dialetto, e ho invidiato il mio amico, compaesano, Giuseppe Bellosi, che di quella nostra prima lingua è riuscito a fare opera poetica. E’ come se avesse scritto anche per me.
Non posso dire tuttavia che il corpo, le passioni non siano entrate nella mia scrittura. Avvicinare la parola al vissuto corporeo è stato un desiderio costante del mio percorso intellettuale, un po’ come ritrovare radici di terra troppo violentemente strappate, e ha comportato una lunga riflessione su me stessa, una ricerca di anni. E’ stato solo nel corso della terapia analitica che ho fatto negli anni ’80, che ho sentito la mia scrittura cambiare, il pensiero teorico lasciarsi contaminare da spinte emotive, la chiarezza del ragionamento dalla densità sentimentale dei ricordi. E’ stato in quegli anni che ho scritto il mio libro più “lirico”, anche se si trattava di una scrittura saggistica: Come nasce il sogno d’amore. Del resto, l’idea di uscire dai dualismi che ci hanno tenuto divisi in noi stessi, è la lezione più originale del femminismo. Il desiderio di ritrovare l’interezza del proprio essere non poteva che partire dalle donne, che col corpo sono state identificate, ma di cui hanno subito al medesimo tempo una violenta espropriazione.
(…)
Ho detto spesso che i miei libri nascono “strada facendo”. Non so cosa vuole dire mettersi a tavolino, avere un’idea in mente articolata in capitoli, comporre le argomentazioni secondo un ordine prestabilito. Forse questo fanno gli studiosi. Io ho avuto la fortuna di non avere una formazione accademica, anche se ha fatto l’università, e di aver cominciato la mia scrittura pubblica con un movimento antiautoritario che mi permetteva di fare della vita, dell’esperienza personale, non più il “fuori tema”, come era stato al liceo, ma “il tema”. Mi considero una pensatrice libera, solitaria e socievole tanto da poter tenere insieme una pratica politica fatta di incontri, riflessione collettiva, e momenti in cui il pensiero torna sui propri passi, e ritrova il silenzio necessario per scavare nel profondo della vita personale, inseguendo quei tracciati remoti che accompagnano l’individuo come un destino. Se per un verso il mio impegno nel movimento delle donne mi ha portato ad allargare sempre di più il cerchio delle amicizie, degli interessi, delle conoscenze, gli scritti –relazioni, articoli, saggi-,
per quanto all’apparenza occasionali, a guardare bene rientrano sempre in qualche modo nel loro “solco” antico. Sono rimasta la figlia del contadino, che aiutava i famigliari nella semina, che sognava le strade del mondo ma poi si rintanava dentro le braccia protettive degli alberi.

Foto di Cesare Ballardini

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Ad Anna Maria Fabbrichesi

A una donna a cui va la mia gratitudine e il mio ricordo duraturo – Anna Maria Fabbrichesi-. con cui ho fatto una lunga analisi negli anni ’80 e che ci ha lasciato alcuni anni fa.
Era il giorno del mio compleanno e non ho potuto fare a meno di pensare a quella coincidenza con particolare emozione: la lunga analisi che ho fatto con lei è stata una nuova nascita, alla vita e alla scrittura.
Un frammento, a lei dedicato, è contenuto nel libro Come nasce il sogno d’amore (Rizzoli 1988) scritto mentre ero in analisi.
“Alla mia analista
Pensieri duri come sassi e teneri come fiori, anni di gelo che si sciolgono nel tempo di un’ora sotto il calore di una coperta.
Si può sognare il caldo e avere freddo ai piedi.
Ma il caldo che ho sentito oggi è reale come il denaro che pago per non dover solo sognare.
Soffriamo per aver riservato il piacere alle madri.
Ma non sappiamo di aver invidiato il dolore.
Tra due letti vicini c’è un muro di tosse e catarro che si vomita in mezzo.
Io vedo lontano, all’indietro, lei guarda al presente, o più avanti.
Ma se allungo una mano la posso toccare.”
( 25. 2. 1982)
Nella foto: le scritture di Lisetta Carmi

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Women Wage Peace

“Ma c’è anche chi, in questo caos, decide di farsi avanti per promuovere concretamente la Pace. Ne sono un esempio le donne di Women Wage Peace, organizzazione israelo-palestinese nata nel 2014, durante l’ultimo attacco a Gaza, che sta cercando di proporre un’alternativa pacifica alle ondate di violenza nel Medio Oriente. “La pace non è un’utopia; è ‘il fondamento necessario per la vita dei due popoli in questo luogo, in sicurezza e libertà”, recita lo slogan delle Women Wage Peace.
Le donne che fanno parte del movimento sfilano vestite di bianco e appartengono a religioni diverse, ebree, cristiane, musulmane, motivate dal desiderio di una convivenza pacifica tra le genti, incoraggiate dalle continue violenze perpetrare ai danni di israeliani e palestinesi: “Il nostro movimento lavora in tutto il paese per sensibilizzare e coinvolgere il pubblico in una discussione sulla fattibilità di una soluzione politica. Crea opportunità di dialogo con individui e gruppi attraverso incontri formali e informali all’interno della comunità. Il movimento organizza anche eventi nazionali, come manifestazioni e proteste, per fare pressione e raggiungere un accordo di pace praticabile.”

Lea cita. Fonte dell’articolo qui.

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Stragi, orrori e guerre private hanno un sesso

“Come è possibile che ancora oggi, dopo tanto parlare di patriarcato e di maschilismo, non si riesca a scalfire la maschera di ‘neutralità’ che impedisce di riconoscere ai responsabili di tanti orrori l’appartenenza a un sesso?
Che cosa impedisce agli uomini sinceramente convinti di dover operare per la pace nel mondo di interrogarsi sulla matrice ‘virile’ della violenza?”

Articolo pubblicato il 6 aprile 2015 su Comune-info.net, per leggerlo clicca qui

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A Elvio Fachinelli

Nella ricorrenza della sua morte avvenuta a Milano il 21 dicembre 1989.
Psicanalista, geniale interprete della dissidenza giovanile degli anni ’70, e del rapporto tra psicanalisi e politica, individuo e società, biologia e storia, il suo pensiero e la sua pratica politica,
dal movimento non autoritario nella scuola alla rivista “L’erba voglio”, sono oggi di straordinaria attualità, come tentativo di portare la politica “alle radici dell’umano”, fuori dalla “rovinosa dialettica” che ha segnato finora lo sviluppo della civiltà.
Frammenti dalle sue opere:
Il post è dedicato a Elvio Fachinelli, nella ricorrenza della sua morte avvenuta a Milano il 21 dicembre 1989.
Psicanalista, geniale interprete della dissidenza giovanile degli anni ’70, e del rapporto tra psicanalisi e politica, individuo e società, biologia e storia, il suo pensiero e la sua pratica politica,
dal movimento non autoritario nella scuola alla rivista “L’erba voglio”, sono oggi di straordinaria attualità, come tentativo di portare la politica “alle radici dell’umano”, fuori dalla “rovinosa dialettica” che ha segnato finora lo sviluppo della civiltà.
Frammenti (di riflessione e buon augurio)
“La rivoluzione, come il desiderio, è inevitabile e imprevedibile, e non finirà mai di sconvolgere i custodi del terreno dei bisogni”.
“Solo un agire che riesca a trasferire su di sé la capacità di mutamento che è ora del sogno, potrà eliminare la necessità di quei sogni; un agire che spezzi la separazione tra sogno (impossibile) e realtà (più che possibile). Di qui, l’indicazione politica: per poter veramente lavorare con la gente, per poterla concretamente toccare, bisogna passare, e non è ironia, proprio attraverso i suoi sogni.”
“Le nostre idee, che ci augureremmo di sentire fischiettare la mattina dal garzone del fornaio, propongono comportamenti, modo di agire, anche insoliti, e questi movimenti reali, di tutto il nostro corpo, a loro volta criticano seriamente le nostre idee”.
“…per incontrare Edipo bisogna trovarsi sulla strada di Tebe; bisogna che l’analista costituisca in altri luoghi condizioni, possibilità, linguaggio dell’interrogazione analitica…L’ascolto analitico deve manifestarsi come capacità di percepire il negativo, l’irregolare, l’aritmico, le situazioni che, appena accennate, e quali che siano, rischiano di essere subito soffocate o, meglio ancora, inquadrate e funzionalizzate (…) in più, deve però anche manifestarsi come capacità e possibilità di interrogare i tentativi che, spesso in modo rozzo, elementare, disordinato, vengono continuamente sorgendo nella nuova generazione come risposta a nuovi problemi”.
“Il mondo che lo foggia (il mondo della madre-la madre come mondo) è un mondo corpo in continuazione con il suo, prima, poi comunicante con esso; un corpo che lo tocca, lo accarezza, lo nutre, lo fa sobbalzare, lo tratta con delicatezza oppure no, con esitazione oppure no; un corpo che gli comunica caldo, freddo, equilibrio, squilibrio, pressione, contatto, odori, ritmo, suoni(…) Quest’esperienza traccia alcune linee fondamentali nel bambino come corpo desiderante e comunicante, sulle quali si innesta poi l’universo del linguaggio. E’ questa una esperienza che, mentre a sua volta modella il bambino, presuppone quell’esperienza precedente; vale a dire: il simbolico presuppone quei privati simboli corporei”.
“Dal fondo del torpore, quasi dal sonno, un pensiero solitario (…). Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all’orizzonte. Nausicaa, Ulisse. Le regge di Creta aperte verso il mare, senza difese (…) Anche per la scoperta freudiana fu così? Un’accettazione di qualcosa che veniva, in un certo senso, dall’esterno, dopo un estenuante brancolare? Bisognerebbe rileggere le origini della psicanalisi da questo punto (…) Il sogna osa generalmente più di quanto si permetta il sognatore da sveglio. Di qui l’idea di Freud di trasferire questo oltrepassamento alla coscienza vigile nella cura dei nevrotici. Il sogno testimonia di ciò che vuoi essere –ciò che puoi essere, allora”

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Elvio Fachinelli all’asilo autogestito di Porta Ticinese (1971). Foto di Lisetta Carmi15675773_1868027886766464_1570577159437984172_o

Con Elvio Fachinelli ai tempi della rivista “L’erba voglio” (1971-1977)

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La ”risorsa dell’intimità”

Francois Jullien, “Sull’intimità. Lontano dal frastuono dell’Amore”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013
Un libro insolito, che apre alla speranza di poter portare l’ amore “oltre le frontiere del narcisismo”, dentro cui sembra sia rimasto impigliato finora, col suo carico di tenerezza e violenza.
Alcuni frammenti:
“Ma affrontare una cosa così singolare come l’intimità non comporterà forse ‘filosofare in altro modo’? L’intimità non indica, infatti, proprio ciò che più resiste all’astrazione e, quindi, al concetto?”
“Ma insisterò soprattutto sulla necessità in cui ci troviamo, oggi, in un’Europa che si disgrega, ma le cui categorie mentali, più che unificare, standardizzano il mondo intero: la necessità di ripensare l’originalità della cultura europea e di misurarne anzitutto la storicità. A questo proposito l’emergere dell’intimità servirà da rivelatore (…) In particolare, tornare su ciò che, nel nostro pensiero, abbiamo a tal punto assimilato e di cui abbiamo a tal punto occultato i pregiudizi da prenderli come un’evidenza: non li pensiamo più –non ci pensiamo più a pensarli.
E’ proprio il caso dell’ “Amore”, uno dei grandi miti dell’Occidente. Ma da questo mito, come uscirne? Più che “liberararsene”, come svincolarsene?
“…l’intimità è legata al pensiero che si lascia andare, che è più portato a raccogliere che non a cogliere –in altri termini, la necessità di abbandonarsi la rende più difficile da catturare. In quanto pregnante e non distinguibile, è la cosa più fugace ma al tempo stesso più aperta; è evasiva e perciò in appropriabile, ma è anche la più personale; si associa a un luogo, a un’ora, s’impregna d’un paesaggio, si afferra in modo circostanziato e ambientale. Più che studiarla la si ricorda; o meglio, più che ricordarsela torna in mente in modo incidentale; e quando succede, vorremmo più ‘confidarla’ che non confessarla. Da qui il fatto che tende più a essere condivisa che non a farsi ‘conoscere’”.
“L’intimità usa attivamente il silenzio, fa parlare i gesti, gli sguardi, un sorriso, un tono di voce. I gesti, più delle parole, sono vettori e staffette dell’intimità e la rendono effettiva, al cui confronto la parola è ciarliera e limitata; frena nel momento stesso in cui enuncia, crea un blocco e una resistenza, invece di lasciar passare (…) è la sfida più alta portata all’impero del logos; non si lascia andare alla facilità di dire e anche di ‘dire tutto’, di determinare e credere di controllare, ma insinua, stringe tacitamente un accordo, lo propaga e lo fa progredire.”
“Guardandola che mi guarda è come se l’accompagnassi in me stesso: sono passato ‘dall’altra parte’, al tempo stesso che la mia si apre (…) attraverso il suo sguardo incomincio a percepirmi da fuori. L’ho chiamata ‘dolcezza’, la dolcezza dello sguardo dell’Altro su di me, ma non ha niente di affettivo o di psicologico, prende una piega metafisica, diventando una categoria innata: dice che la frontiera è caduta, libera dall’iniziativa del soggetto, sostituisce l’ambiente, il complice, all’eterna frontalità. Come ci si guarda, ci si racconta: come ci si può guardare per ore, ci si può raccontare senza annoiarsi. Raccontar-si non significa tanto, d’altronde, raccontare un ‘sé’ prendendosi oggetto del dire, perché non è la forma riflessiva del verbo, ma esprime la relazione reciproca. Ci si racconta, cioè dall’uno all’altro, come ci si parla: ‘raccontarsi’ l’un l’altro è anche un modo di attivare la riflessività e reciprocità dell’intimità e non ha altro fine.”

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Milano per me

“Una stanza tutta per sé”, sospesa su strade rumorose ma abbastanza alta da prendere tutta la luce dei rari cieli azzurri milanesi, abitua all ‘idea di abitare in se stessi come nel mondo, di poter sorvolare con l’occhio dei pensieri altri paesaggi urbani, amati attraverso le amicizie e i progetti condivisi, tra città e città, città e paesi.

Un confine prezioso è quello che separa congiungendo, che rende la solitudine capace di una intensa socialità, e la propria finestra un osservatorio proteso verso realtà e affetti distanti migliaia di chilometri.

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