Tempi “interni” e tempi “sociali nella vita delle donne
Non è un caso che si sia andata affermando l’idea che il problema dei ruoli di genere e del loro radicamento – nelle istituzioni della vita pubblica come “nell’oscurità dei corpi”- vada preso alla radice, partendo dall’educazione e dalla formazione primaria degli individui. L’interrogativo è chi e come lo si farà, se solo con leggi, decreti e direttive dall’alto, o attraverso una presa di coscienza che dovrebbe riguardare prima di tutto gli adulti, uomini e donne.
Appartengo a una generazione che ha conosciuto un profondo rivolgimento rispetto alla separazione tradizionale tra privato e pubblico, dietro la spinta della società di massa, dei consumi, della pubblicità, della televisione, mezzi potentemente invasivi.
Ma è stata anche la generazione che ha tentato di dare una risposta diversa –rivoluzionaria, utopistica, se vogliamo- alla crisi di un ordine sociale, economico, politico, culturale, che si era pensato fuori da vincoli con i bisogni primari degli esseri umani: la nascita, la morte, la dipendenza, l’amore, la sessualità, la cura, ecc.
In una parola: la conservazione della vita, delegata alla famiglia, in sostanza alla donna, che ne porta ancora oggi la maggiore responsabilità.
Con lo slogan “il personale è politico”, il femminismo degli anni ’70 intendeva riportare alla cultura tutto ciò che per secoli è stato considerato “naturale”, “non politico”, un residuo della storia lasciato negli interni delle case, e soprattutto all’interno del vissuto di ogni singolo. Attraverso la pratica dell’autocoscienza -raccontarsi e riflettere sulla propria esperienza assieme ad altre donne- le vite personali prendevano una rilevanza mai avuta prima, diventano il luogo di una storia non scritta da riscoprire, in particolare quella del rapporto tra i sessi, un dominio che si era confuso con la vita intima e che solo partendo da lì poteva essere portato a consapevolezza. E modificato.
Penso a Sibilla Aleramo, considerata giustamente una “coscienza femminile anticipatrice”, alle sue illuminanti notazioni sul femminismo dei primi del ‘900. Da un lato c’erano le conquiste legate all’uguaglianza di diritti tra uomini e donne, che avvenivano anche per “forza di cose”, per spinte interne a una realtà sociale in evoluzione; dall’altra, i “desideri intimi” delle donne, che sembravano opporsi a un cambiamento per certi versi vantaggioso e auspicabile. La ragione –scriveva con grande lucidità Aleramo- andava rintracciata nel fatto che le donne hanno fatto propria, forzatamente, la “rappresentazione del mondo” dell’unico protagonista della storia, il sesso maschile, che poteva essere “compresa” solo “per virtù di analisi”.
L’analisi che Aleramo fece su di sé, in solitudine, il movimento degli anni ’70 la farà collettivamente, nei gruppi di autocoscienza, mettendo a tema le problematiche del corpo, partendo dalla soggettività di ognuna.
Non è un caso che, pur spostando l’attenzione su quella che era stato fino allora considerato “il privato”, il femminismo non abbia visto subito la violenza domestica nei suoi aspetti manifesti, ma si sia soffermato sulla violenza invisibile: habitus mentali, modi di pensare se stesse e il mondo segnati dalla definizione che il sesso maschile aveva dato dei ruoli di “genere”, e fatti inconsapevolmente propri. L’autocoscienza ha voluto dire interrogare la femminilità a partire da una dimensione del tempo ferma alla “preistoria” del rapporto tra i sessi, sedimentata nella memoria del corpo, in un sentire profondo resistente al cambiamento. In quegli anni non si usava la parola “libertà”, ma “liberazione”: costruire la propria individualità o soggettività sulla base di un’autonomia di pensiero, un Io meno “conforme” a modelli dati.
Trovare nessi, mediazioni, resta il problema chiave. La femminilizzazione della sfera pubblica ha messo allo scoperto sia la tendenza delle donne ad assimilarsi al modello maschile –se non nell’abbigliamento, nel linguaggio, nell’esercizio del potere-, sia quella opposta: volgere in attivo e impugnare a proprio vantaggio gli attributi tradizionali del femminile, la seduzione e la maternità, riconosciute oggi dal sistema stesso come “risorse”, “valore aggiunto”.
Archivi mensili per febbraio 2017
Filosofia a sesso unico
Il sessismo ha radici antiche e ramificazioni che arrivano vistosamente impudicamente fino ad oggi.
È passato un secolo da quando Otto Weininger in “Sesso e carattere”, summa della nostra cultura greco romana cristiana, scriveva:
“Personalità e individualità, Io (intellegibile) e anima, volontà e carattere (intellegibile) significano sempre la stessa cosa, che, nella sfera umana appartiene solo all’uomo, e manca alla donna”.
Quanti secoli devono passare perché un giornale come il Corriere -a cui si deve la collana Filosofica- e in generale la cultura del nostro paese, si accorgano che stanno ricalcando il sessismo e il razzismo che attraversano la nostra come tutte le ‘civiltà ‘ finora conosciute?
Donne e conflitto
La forza e l’originalità del femminismo è stata innanzitutto quella di creare forme di socializzazione inedite tra donne, in cui il conflitto era considerato non meno importante e vitale della solidarietà e della condivisione.
Per fare alcuni esempi:
-pensare e riflettere insieme ad altre a partire dall’esperienza di ognuna, confrontando diversità e somiglianze di opinioni e percorsi esistenziali;
-vivere come conflittualità portatrice di cambiamento e nuove consapevolezze quelli che erano stati contrasti, competizione, amore e odio, legati fino allora alle divisioni con cui l’uomo ha tenuto separate le donne;
– cominciare a pensarsi come individualità e non più come “genere”, un tutto coeso storicamente insignificante per quanto esaltato immaginativamente: da una parte la madre-materia, il nulla, l’assenza di senso, dall’altra la Dea, la Madre Patria, la Madre Chiesa, ecc.;
-critica all’emancipazionismo come ‘integrazione’ nell’ordine esistente –capitalista e patriarcale-, in qualità di ‘complemento’, ‘risorsa’, ‘valore aggiunto’, messa i produzione e redditività di quello che forzatamente le donne hanno dovuto considerare il loro unico capitale, l’unica moneta di scambio: il corpo, la sessualità, la maternità. In altre parole, doppio lavoro: il lavoro extradomestico, assimilato nelle forme e garantito (almeno formalmente) nei diritti a quello maschile, ma senza mettere in discussione la “funzione essenziale” della donna in ambito domestico (vedi art. 37 della Costituzione).
La foto è presa dal mio archivio personale.
Il ’68 delle donne
NON UNA DI MENO – Verso lo Sciopero Internazionale delle Donne dell’ 8 marzo 2017: Il ’68 delle donne.
Le esigenze radicali, che hanno fatto la loro comparsa in un particolare momento della storia, sono destinate a riemergere e a cercare la realizzazione che si è rivelata in tempo “impossibile”.
Tale è la storia dei CONSULTORI :nati negli anni ’70 dalle pratiche del femminismo, come l’autocoscienza, creati in forma autogestita dai collettivi di Medicina delle donne e poi istituzionalizzati, nel 1975, con la conseguente perdita dell’autonomia e del progetto politico femminista che si erano dati inizialmente.
Nel libro di Luciana Percovich, “La coscienza nel corpo. Donne, salute e medicina negli anni Settanta” (collana Letture d’archivio, Fondazione Badaracco-Franco Angeli 2005) a p. 62 si legge:
“La nostra controparte nella lotta non è la Medicina ma lo Stato che, attraverso la Medicina e l’organizzazione sanitaria, vuole continuare ad espropriarci del nostro corpo, trasformato in strumento del lavoro domestico di riproduzione materiale e cioè fisica, affettiva e sessuale del marito, e di riproduzione biologica e affettiva dei figli.”
Fa piacere perciò ritrovare oggi, sul Report del Tavolo “Diritto alla salute sessuale e riproduttiva” (Assemblea nazionale 4-5 febbraio 2017 a Bologna), tra altre richieste importanti e radicali, questo passaggio:
“Il ruolo dei CONSULTORI deve essere politicizzato e rimesso al centro: i consultori devono tornare a essere aperti e accoglienti, liberi e gratuiti, diffusi nel territorio. Per perseguire questo obiettivo è necessario rimettere in discussione il processo di istituzionalizzazione che li ha sottratti alle donne trasformandoli in meri servizi socio-sanitari comunque di serie C. Riappropriarsi dei consultori significa quindi recuperarli alla funzione di spazi in cui sessualità, piacere e autodeterminazione assumono piena centralità.
Vogliamo tornare a vivere i consultori come luoghi di aggregazione e centri culturali, che rispondano alle esigenze e ai desideri delle donne e delle soggettività Lgbtqi. Vogliamo consultori in grado di promuovere e tutelare il diritto alla salute delle persone transgender, queer, gay, bisex, e intersex, vogliamo che i consultori diventino luoghi capaci di accogliere e riconoscere le molteplici identità di genere che un individuo può sperimentare nella sua vita, nonché accogliere e riconoscere qualsiasi tipo di orientamento sessuale.”
Psicanalisi e femminismo: alla ricerca di nessi
“Il femminile e il dualismo sessuale tendono a essere visti –negli studi di genere- solo come costruzione del pensiero e della volontà di potere dell’uomo, strumenti ideologici per giustificare il suo dominio, e non, come si potrebbe ipotizzare, prima di tutto rappresentazioni psichiche profonde dei desideri, delle paure, dei sogni che si formano intorno all’esperienza della nascita. Se oggi è difficile scindere interiorità e storia, ciò non significa che si possano appiattire l’una sull’altra, anziché coglierne i nessi.
La riduzione al fattore culturale –storia, linguaggio, ec.- di un processo che tocca zone di inconsapevolezza (la vicenda originaria della specie e di ogni singolo), nell’uomo come nella donna, fa sparire l’interesse per la vita psichica, per il rapporto inconscio-coscienza, e quindi anche per il contributo dato dalla psicanalisi alla comprensione dei movimenti sotterranei che hanno dato forma allo sviluppo degli individui e della civiltà”.
“Altro effetto di riduzione e semplificazione è quello che vede il potere dell’uomo solo come potere del padre e, di riflesso, l’alleanza possibile tra la madre e il figlio, tra la donna e il giovane, entrambi vittime dell’autorità paterna. Si può pensare invece che la comunità storica degli uomini sia l’esito (e poi la causa) di quel processo di differenziazione che vede ogni volta il figlio staccarsi con sentimenti opposti, di amore e di odio, desiderio e paura, dal corpo che l’ha generato.
L’immagine di un corpo femminile che dà la vita ma che può anche soffocarla, non è solo l’effetto della cultura dell’uomo; non è difficile ipotizzare che sia legata anche all’esperienza dell’inermità iniziale di ogni nato, e dell’essere stato tutt’uno con il corpo materno.”
“Per abbandonare l’identificazione con l’uomo (col suo desiderio, col suo piacere) è necessario analizzare la complessità della vita psichica, le fantasie, i sentimenti che hanno permesso la confusione tra piacere e sofferenza, tra piacere proprio e piacere dell’altro. Se si tiene conto che il dominio maschile emerge dalla zona di inconsapevolezza che avvolge vicende come la nascita e l’uscita da una condizione di animalità, che come tali riguardano entrambi i sessi, risulta semplificante liquidare come ‘schiavitù’ il ‘coinvolgimento emotivo’ della donna, la sua ‘capacità di accordarsi e favorire’ il desiderio altrui.
La ricerca di ‘differenze’ già date e di ‘autenticità’ ha bisogno invece di spartire i campi in modo netto: nessuna confusione tra i sessi, nessuna ambivalenza, nessuna identificazione o integrazione reciproca. Il dualismo sessuale viene interpretato solo sulla base del dominio storico dell’uomo (imposizione di un privilegio), quindi liberato dalla contraddittorietà delle figure di genere (il maschile e il femminile parlano anche il linguaggio dell’amore, della seduzione, della tenerezza), o, viceversa, sulla base di differenze fisiologiche. In mezzo, tra biologia e storia, il vuoto.
Tra una sponda e l’altra viene meno tutta la tessitura della vita psichica, che si rivela invece quando andiamo a leggere dentro le storie personali.
E’ nella vita dei singoli, infatti, che possiamo trovare questo intreccio, queste connessioni indistinguibili fra l’eredità biologica e la vita psichica, la cultura e la storia che vi sono cresciute sopra e che hanno ovviamente influito sull’interiorità.”
(da L.M., “Una visceralità indicibile. La pratica dell’inconscio nel movimento delle donne”, Fondazione Badaracco-Franco Angeli 2000)
Bari – Festival delle donne e dei saperi di genere
Condivido da Francesca Romana Recchia Luciani, che ringrazio.
“Sta arrivando! E questa volta portiamo la RIVOLUZIONE!!!
A Bari un incontro tra Lea Melandri e Cecilia Robustelli su SCRITTURA D’ESPERIENZA E LINGUAGGIO NON SESSISTA (31 marzo) e un LABORATORIO DI SCRITTURA D’ESPERIENZA (1/2 aprile) curato dalla nostra amica Lea Melandri
Rossana Rossanda
Cara Rossana
“Una vecchia comunista e in più prepotente e insopprimibile” – come dice di se stessa- ma che riesce a essere anche dolce, come in questa foto.
Su Il Manifesto di oggi (23 febbraio 2017) l’articolo di Silvana Silvestri “Appuntamento con Rossanda”.
Studi ‘radicali’
Non Una di Meno
Report del Tavolo Educazione e Formazione (Assemblea nazionale 4-5 febbraio 2017 a Bologna)
“Col consenso unanime abbiamo definito l’educazione alle differenze per la prevenzione e il contrasto della violenza maschile contro le donne non come una generica educazione alla parità, ma come uno sguardo critico e radicale sui saperi. Non una “materia” e nemmeno l’addizione ai programmi di studio del contributo delle donne intese come appendice al sapere dominante, ma un approccio trasversale capace di riconoscere le fonti socio-culturali delle diseguaglianze tra maschile e femminile e decostruire i rapporti di potere con l’obiettivo di trasformare la cultura di genere dominante.”
Per non dimenticare che “genere ” per secoli sono state solo le donne, identificate con sessualità e la maternità, la natura, la materia: un tutto omogeneo con tratti psicologici considerati “naturali”.
Il femminismo e la scuola.
Nelle università si fanno studi di genere, ma poco si sa della cultura e delle pratiche politiche nate dal movimento delle donne.
Un libro prezioso di Elda Guerra: narrazione storica e ampia raccolta di scritti, documenti.
Elda Guerra, “Storia e cultura politica delle donne”, Archetipolibri, Bologna 2008.
(dalla “Prefazione”)
“Alla base vi è l’ipotesi interpretativa secondo la quale una delle più significative rilevanze della contemporaneità è la tensione tra la rappresentazione delle donne come soggetto sociale ovvero la condizione femminile e la loro auto rappresentazione come soggetto politico capace di elaborazione e intervento nei diversi ambiti della vita associata e attento alle relazioni tra pubblico e privato, dimensione collettiva e traiettorie esistenziali (…) il passaggio, indicato da Max Weber, dal mondo della tradizione al mondo della scelta, misurandosi con la modernità. Si è trattato per le donne di un passaggio per molti versi più complesso, rispetto alla storia maschile, proprio perché alle origini stesse del mondo occidentale moderno, lo status di individue, esseri liberi e responsabili, era stato loro negato e aveva prevalso un’identità legata all’appartenenza di genere e alle caratteristiche attribuite alle donne in quanto sesso. Ciò aveva anche significato un’aporia tra riconoscimento dell’universalità dei diritti e negazione del loro esercizio a metà del genere umano, e una subordinazione nella sfera privata cui conseguiva l’inesistenza nella sfera pubblica: su queste contraddizioni si è innestato il percorso di liberazione e di ricerca di libertà che rappresenta uno dei tratti essenziali della vicenda femminile contemporanea.”
“In primo luogo la focalizzazione sulla presenza specifica e autonoma delle donne sulla scena pubblica e politica, al di là delle vicende, pur importanti della loro presenza all’interno delle organizzazioni sociali e politiche miste o dei movimenti femminili ad esse collegati. In secondo luogo, una limitazione di campo rispetto allo stesso significato della parola femminismo: con essa ho inteso riferirmi al corpus di idee, di teorie e pratiche di relazione sedimentate da quella cultura specifica, una cultura che fin dalle sue origini ha voluto tenere insieme le condizioni dell’esistenza, le vite concrete con la prefigurazione di mutamenti possibili sul piano materiale e su quello simbolico della relazione tra i sessi e i generi. E’ stato ed è un insieme di elaborazioni con cui le donne che hanno creato associazioni, gruppi, movimenti si sono confrontate con la costruzione di un differente soggetto politico nel contesto dei mutamenti della modernità, della sua affermazione e della sua crisi, e, oggi, della postmodernità. Ho voluto poi declinare al plurale questa parola nel nesso ‘femminismo/femminismi’, non solo perché è il ‘numero grammaticale’ che più si addice alla storia, ma per dare conto della pluralità insita in questa cultura, delle visioni diverse, delle voci molteplici e non univoche presenti in essa troppo spesso appiattite su una generica rappresentazione delle donne in quanto genere che ne ignora singolarità e differenze.”
“Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi!”
L’8 marzo vogliamo ribadire che la nostra AUTODETERMINAZIONE SESSUALE E RIPRODUTTIVA non si tocca, che sul nostro piacere, sulla nostra salute, sulle nostre scelte e sui nostri corpi decidiamo noi, che siamo orgogliosamente anomale, sproporzionate, poco produttive e disfunzionali. L’8 marzo scioperiamo: ci asteniamo dall’attività produttiva e riproduttiva per riappropriarci dei nostri corpi. Perché ogni giorno delle nostre vite vogliamo sottrarci alla violenza medica e ostetrica, liberare le nostre scelte, godere pienamente di tutto ciò che i nostri corpi possono e desiderano. Crediamo che lottare per la nostra salute sessuale e riproduttiva voglia dire riappropriarci del nostro piacere e mettere in discussione le logiche medicalizzanti e patologizzanti.
Scioperiamo per reclamare il diritto all’aborto libero e perché nessuna sia obbligata alla maternità”
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Sosteniamo Zingaretti e il bando dell’Ospedale San Camillo di Roma contro chi non ha il coraggio di attaccare direttamente la Legge 194 e usa tutti i mezzi per renderla inapplicabile. Facciamo in modo che diventi un esempio, una “buona pratica” per tutti gli ospedali dove la presenza pressoché esclusiva di obiettori di coscienza impedisce di fare aborti.
“Giuseppe Lavra chiede al presidente della Regione Lazio di revocare l”’atto iniquo” della assunzione di due medici sulla base di un concorso per non obiettori all’aborto. Lavra chiede anche che il Comitato Centrale della Federazione nazionale, la FNOMCEO, di pronunci su questa vicenda. “Prevedere un concorso soltanto per non obiettori di coscienza – spiega – ha il significato di discriminazione di chi esercita un diritto sancito dalla bioetica e dalla deontologia medica”.
Pronta la replica della Regione Lazio: “Le procedure avviate oltre un anno fa, per completare l’organico dei servizi dedicati alle prestazioni assistenziali relative all’applicazione della legge 194 presso l’ospedale San Camillo, – spiega una nota – non contengono alcuna forma di iniquità poiché non vi è nel testo del decreto alcun accenno o riferimenti,tra i requisiti previsti,all’obiezione di coscienza, ma una specifica indicazione delle funzioni da svolgere per le prestazioni assistenziali legate all’erogazione del servizio.”
(Il Fatto Quotidiano)
‘Soggetti imprevisti’
Oggi (24 febbraio 2017, ndb) in piazza Cadorna assemblea di NonUnaMeno del CUT della Statale The Take.
“La rivoluzione, come il desiderio, è inevitabile e imprevenibile, e non finirà mai di sconvolgere i custodi del terreno dei bisogni”
(Elvio Fachinelli)