Il 12 aprile 1987 usciva su “L’Espresso” questo articolo di Elvio Fachinelli. A distanza di circa trent’anni, e pensando alle manifestazioni imprevedibili e sorprendenti (soprattutto dopo gli attentati terroristici di questi mesi) che stanno avvenendo in Francia, ho deciso di riproporlo per la sua profetica lucidità.
Che bella «rivoluzione»: oggi siamo tutti soli*
1987
Il mutamento dei costumi sessuali in Occidente (per favore, non la
«rivoluzione») comincia molto tempo fa, forse all’epoca di Abelardo
ed Eloisa. Ma per limitarci agli ultimi vent’anni in Italia, sentiamo e
sappiamo che ci sono notevoli differenze fra i settanta e gli ottanta.
Gli anni settanta si muovono, ondeggiano e fluttuano, si aprono dappertutto
a tentativi di uscire dalla famiglia, di far fuori la famiglia, l’esecrata
famiglia. C’è una specie di diffusa fobia per questa istituzione,
vista come luogo chiuso, coatto, defecatorio.
Ed ecco allora gruppi di affinità, di simpatia, di bizzarria o anche
soltanto di intolleranza per gli altri, che vanno avanti per un po’, poi
si dissolvono, spariscono per ricomparire eventualmente un po’ più in
là. Somigliano a quelle strutture chiamate cristalli liquidi, una bella
contraddizione a pensarci, ordinamenti fluidi, eppure aguzzi, e taglienti
per molti (è il momento fourierista dell’epoca, la ricerca e la
pratica di nuove armonie e disarmonie amorose) e subito dopo autodissolti,
svaniti, introvabili.
Dove siete finiti? Siete falliti, non è vero? Così dice la voce, quella
che suona più alta, degli anni ottanta. Ma altre voci mormorano: non
c’è fallimento, né scacco, non può esserci, dal momento che quelli lì
andavano secondo un altro ritmo, seguivano un’altra logica, piuttosto
enigmatica, a volte tragica, quella del desiderio, o della libertà (chi ha
mai detto che la libertà sia facile?). E alla fine si sono dissolti in ciò che
è venuto dopo, pronti a ricristallizzarsi in un momento chissà dove
* «L’Espresso», n. 14, 12 aprile 1987.
chissà quando. Anche con l’Aids, nuova cintura di castità, ombrello
sanitario, castigo degli infedeli. «Va’, va’, povero untorello, non sarai
tu che schianterai Metropoli».1 E anche nella reintegrata famiglia reaganiana,
che si vuole a guscio pieno, non vuoto, muro solido, non friabile,
e che a guardarla da vicino è invece piuttosto spesso una riunione
di single che stanno lì soprattutto per i figli.
Ed ecco i single, appunto, parola abbastanza nuova, però quasi un
emblema, che contrassegna tanti tipi strani, diversi, spesso infelici (ma
chi ha mai detto che la felicità del sesso stia in quell’idiota sorriso di
redenzione che aleggia sui volti dei «liberati sessuali»?). Tanti tipi
diversi uniti forse dall’essere eredi non testamentari, o continuatori
casuali, ricercatori extrafamiliari degli anni settanta che scoprivano
amori fantastici, irregolari, anche un po’ impossibili. Amori abbastanza
vicini a quelli che albeggiano oggi dalle videocassette nelle camere
dei single, prima di dormire o di vegliare; amori di sogno, o d’occasione,
o di crociera immaginaria, insomma amori di solitudini comuni,
come quelli delle comunità solitarie sparite nel vuoto verso la fine
degli anni settanta.
Che bella «rivoluzione»: oggi siamo tutti soli 1219
1 [Allusione alla battuta del monatto che scambia Renzo per untore e gli dice appunto: «Va’,
va’, povero untorello […] non sarai tu quello che spianti Milano» (A. Manzoni, I promessi sposi,
a cura di G. Getto, Sansoni, Firenze 1964, cap. 34, p. 831)].