Un augurio speciale

Il 21 dicembre 1989 moriva a Milano Elvio Fachinelli, psicanalista, originale interprete del ’68, fondatore della rivista “l’Erba voglio” (1971-1977).

Quanto fosse rimasto legato alla”rivoluzione” culturale e politica di quegli anni, lo dimostra il suo articolo uscito su “L’Espresso”, n.14, 12 aprile 1987.

Lo dedico come augurio per il nuovo anno a tutte le vecchie e giovani “talpe” che non hanno mai smesso di scavare carsicamente, consapevoli – come scriveva Fachinelli- che “la rivoluzione, come il desiderio, è inevitabile e imprevenibile, e non finirà mai di sconvolgere i custodi del terreno dei bisogni.”

Elvio Fachinelli

Che bella «rivoluzione»: oggi siamo tutti soli*
1987

l mutamento dei costumi sessuali in Occidente (per favore, non la
«rivoluzione») comincia molto tempo fa, forse all’epoca di Abelardo
ed Eloisa. Ma per limitarci agli ultimi vent’anni in Italia, sentiamo e
sappiamo che ci sono notevoli differenze fra i settanta e gli ottanta.
Gli anni settanta si muovono, ondeggiano e fluttuano, si aprono dappertutto
a tentativi di uscire dalla famiglia, di far fuori la famiglia, l’esecrata
famiglia. C’è una specie di diffusa fobia per questa istituzione,
vista come luogo chiuso, coatto, defecatorio.
Ed ecco allora gruppi di affinità, di simpatia, di bizzarria o anche
soltanto di intolleranza per gli altri, che vanno avanti per un po’, poi
si dissolvono, spariscono per ricomparire eventualmente un po’ più in
là. Somigliano a quelle strutture chiamate cristalli liquidi, una bella
contraddizione a pensarci, ordinamenti fluidi, eppure aguzzi, e taglienti
per molti (è il momento fourierista dell’epoca, la ricerca e la
pratica di nuove armonie e disarmonie amorose) e subito dopo autodissolti,
svaniti, introvabili.
Dove siete finiti? Siete falliti, non è vero? Così dice la voce, quella
che suona più alta, degli anni ottanta. Ma altre voci mormorano: non
c’è fallimento, né scacco, non può esserci, dal momento che quelli lì
andavano secondo un altro ritmo, seguivano un’altra logica, piuttosto
enigmatica, a volte tragica, quella del desiderio, o della libertà (chi ha
mai detto che la libertà sia facile?). E alla fine si sono dissolti in ciò che
è venuto dopo, pronti a ricristallizzarsi in un momento chissà dove chissà quando. Anche con l’Aids, nuova cintura di castità, ombrello sanitario, castigo degli infedeli. «Va’, va’, povero untorello, non sarai tu che schianterai Metropoli».1 E anche nella reintegrata famiglia reaganiana, che si vuole a guscio pieno, non vuoto, muro solido, non friabile, e che a guardarla da vicino è invece piuttosto spesso una riunione di single che stanno lì soprattutto per i figli.
Ed ecco i single, appunto, parola abbastanza nuova, però quasi un emblema, che contrassegna tanti tipi strani, diversi, spesso infelici (ma chi ha mai detto che la felicità del sesso stia in quell’idiota sorriso di redenzione che aleggia sui volti dei «liberati sessuali»?). Tanti tipi diversi uniti forse dall’essere eredi non testamentari, continuatori casuali, ricercatori extrafamiliari degli anni settanta che scoprivano amori fantastici, irregolari, anche un po’ impossibili. Amori abbastanza vicini a quelli che albeggiano oggi dalle videocassette nelle camere dei single, prima di dormire o di vegliare; amori di sogno, o d’occasione, o di crociera immaginaria, insomma amori di solitudini comuni, come quelli delle comunità solitarie sparite nel vuoto verso la fine
degli anni settanta.

(da “L’Espresso”, n.14, 12 aprile 1987)

Foto di Lisetta Carmi

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A Elvio Fachinelli, nella ricorrenza della sua morte avvenuta a Milano il 21 dicembre 1989.

Psicanalista, geniale interprete della dissidenza giovanile degli anni ’70, e del rapporto tra psicanalisi e politica, individuo e società, biologia e storia, il suo pensiero e la sua pratica politica,
dal movimento non autoritario nella scuola alla rivista “L’erba voglio”, sono oggi di straordinaria attualità, come tentativo di portare la politica “alle radici dell’umano”, fuori dalla “rovinosa dialettica” che ha segnato finora lo sviluppo della civiltà.

Frammenti (di riflessione e buon augurio)

“La rivoluzione, come il desiderio, è inevitabile e imprevedibile, e non finirà mai di sconvolgere i custodi del terreno dei bisogni”.

“Solo un agire che riesca a trasferire su di sé la capacità di mutamento che è ora del sogno, potrà eliminare la necessità di quei sogni; un agire che spezzi la separazione tra sogno (impossibile) e realtà (più che possibile). Di qui, l’indicazione politica: per poter veramente lavorare con la gente, per poterla concretamente toccare, bisogna passare, e non è ironia, proprio attraverso i suoi sogni.”

“Le nostre idee, che ci augureremmo di sentire fischiettare la mattina dal garzone del fornaio, propongono comportamenti, modo di agire, anche insoliti, e questi movimenti reali, di tutto il nostro corpo, a loro volta criticano seriamente le nostre idee”.

“…per incontrare Edipo bisogna trovarsi sulla strada di Tebe; bisogna che l’analista costituisca in altri luoghi condizioni, possibilità, linguaggio dell’interrogazione analitica…L’ascolto analitico deve manifestarsi come capacità di percepire il negativo, l’irregolare, l’aritmico, le situazioni che, appena accennate, e quali che siano, rischiano di essere subito soffocate o, meglio ancora, inquadrate e funzionalizzate (…) in più, deve però anche manifestarsi come capacità e possibilità di interrogare i tentativi che, spesso in modo rozzo, elementare, disordinato, vengono continuamente sorgendo nella nuova generazione come risposta a nuovi problemi”.

“Il mondo che lo foggia (il mondo della madre-la madre come mondo) è un mondo corpo in continuazione con il suo, prima, poi comunicante con esso; un corpo che lo tocca, lo accarezza, lo nutre, lo fa sobbalzare, lo tratta con delicatezza oppure no, con esitazione oppure no; un corpo che gli comunica caldo, freddo, equilibrio, squilibrio, pressione, contatto, odori, ritmo, suoni(…) Quest’esperienza traccia alcune linee fondamentali nel bambino come corpo desiderante e comunicante, sulle quali si innesta poi l’universo del linguaggio. E’ questa una esperienza che, mentre a sua volta modella il bambino, presuppone quell’esperienza precedente; vale a dire: il simbolico presuppone quei privati simboli corporei”.

“Dal fondo del torpore, quasi dal sonno, un pensiero solitario (…). Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all’orizzonte. Nausicaa, Ulisse. Le regge di Creta aperte verso il mare, senza difese (…) Anche per la scoperta freudiana fu così? Un’accettazione di qualcosa che veniva, in un certo senso, dall’esterno, dopo un estenuante brancolare? Bisognerebbe rileggere le origini della psicanalisi da questo punto (…) Il sogna osa generalmente più di quanto si permetta il sognatore da sveglio. Di qui l’idea di Freud di trasferire questo oltrepassamento alla coscienza vigile nella cura dei nevrotici. Il sogno testimonia di ciò che vuoi essere –ciò che puoi essere, allora”

Nella foto: con Elvio Fachinelli

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Letture natalizie/antinatalizie: la tragica saggezza di Carlo Michelstaedter

“Vuoti in ogni presente…per soddisfare la fame insaziabile e mancare sempre di tutto”.

Da
Carlo Michelstaedter, “Il dialogo della salute e altri saggi”, Adelphi 1988:

“Tuo è ciò di cui non puoi fare a meno. Ma se tu non ne puoi far a meno, non tu le ‘hai’ in tua potestà: ma esse ‘hanno’ te, e tu dipendi da loro che non puoi sussister senza di loro. -E le persone care non forse allo stesso modo ti sono necessarie bensì e tu sei necessario a loro, ma il vostro amore non c’è chi lo possa saziare – né baci né amplessi, né quante altre dimostrazioni l’amore inventi vi possono compenetrare più l’uno dell’altro? Ma sempre vi tiene un eguale bisogno vicendevole. – Così ogni cosa è nostra solo perché ne abbiamo bisogno, solo perché ne usiamo -e mai abbiamo usato così delle cose della vita da non desiderare alcuna cosa, ma d’ ‘aver la nostra vita in noi’. – Perché non possediamo mai la nostra vita, l’aspettiamo dal futuro, la cerchiamo dalle cose che ci sono care perché ‘contengono per noi il futuro’, per essere anche in futuro vuoti in ogni presente e volgerci ancora avidamente alle cose care per soddisfar la fame insaziabile e mancare sempre di tutto. -Finché la morte togliendoci da questo gioco crudele, non so cosa ci tolga- se nulla abbiamo. -Per noi la morte è come un ladro che spogli un uomo ignudo.”

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Prima che sia troppo tardi

Viviamo tempi in cui cadono consolidate costruzioni di senso. Così, spiega Lea Melandri, è la natura ferita, sono le donne, i bambini, gli impoveriti a dire il dolore e la distruttività nascosti dietro la facciata di un mondo che si è creduto “civile”. Abbiamo bisogno, per dirla con Elvio Facchinelli, di una nuova e profonda “capacità di immedesimazione in cui noi, feriti, diventeremmo madre di creature ferite”, abbiamo bisogno di “una caduta, simile alla pioggia che cade su terra scura a primavera…”

Articolo pubblicato il 23.XII.2017 su comune-info.net, clicca qui

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G.Anders: la falsa neutralità dell’ “io” maschile.

Günter Anders, “Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità”, Bollati Boringhieri 2004

“Ma io stesso, nonostante i miei numerosi diari, non mi sono mai occupato in modo particolare di me stesso; tutto ciò che è accaduto nel corso della mia esistenza, a partire dal 1914, è sempre stato troppo urgente e tremendo per consentire di mettersi a curiosare e rovistare nel proprio profondo, anche solo per farlo apparire interessante.”

“Più di trent’anni fa ho definito la ‘storia dei sentimenti ‘ come la più deplorevole lacuna della ricerca storica. A causa dei pregiudizi, le cui radici non possono qui essere messe a nudo, fino a oggi abbiamo di fatto considerato l’apparato emozionale dell’uomo come una dotazione naturale immutabile (press’ a poco come il corredo fisiologico); mentre non ci sarebbe stato nessuno, è ovvio, che non avrebbe riconosciuto tra gli strumenti mondani l’evolversi continuo delle idee, delle istituzioni.”

“Se nė l’ “io”, nė l’ “esistenza” nė l’ “esser-ci” mostrano caratteri sessuali, ciò sembra poter significare solamente che ai filosofi la petite différence appare accidentale, a posteriori, empirica, insomma metafisicamente impresentabile.
(…)
“Il potere del nostro universo maschile, che in molte lingue ha fatto dell’ “essere umano” una semplice variante della parola “uomo “, non ha contagiato anche la filosofia?
L’ “io”, la “coscienza “ non sono forse soggetti maschili? Chi nel nominare la parola “io” ha mai pensato alla signora Fichte? Non associamo forse la “persona” nonostante sia femminili generis, e si proponga di esprimere l’idea morale dell’essere umano in generale, a qualcosa di maschile?”

“…se la donna, come è capitato, si è trovata in una situazione in cui la sua appartenenza sessuale ha giocato un ruolo diverso rispetto all’ uomo, se è stata costretta nel suo essere-donna, siamo stati anche noi uomini a costringerla. E le “costrizioni”, non importa se si presentano sotto forma di catene, consuetudini, pregiudizi o filosofie, non sono sempre frutto del potere?”

“A noi sembra moralmente basso che una donna sia considerata, trattata, o amata non in quanto ‘questa donna particolare’, ma in quanto ‘una’ donna (che casualmente è proprio questa), dunque come generalità .”

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