Uomini e donne: dialogo, conflitto, cambiamenti

Nel 1980 Carla Lonzi pubblica nelle edizioni di Rivolta Femminile Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, un titolo significativo dei cambiamenti che stava portando il femminismo nei rapporti di coppia, e in particolare tra “bisogno d’amore” e “bisogno di autonomia”, tentativo di condividere con un compagno, un marito, la consapevolezza nuova che le donne andavano acquistando di sé, e resistenza maschile a riconoscere la politicità della “cultura delle relazioni”. Che cosa è accaduto da allora in avanti?

Articolo pubblicato il 12 settembre 2017 su la27esimaora, fonte

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Noi «divise», gli uomini «compatti» al potere. Ma qualcosa è cambiato

“Il rimprovero che viene fatto alle femministe è la facilità con cui i loro gruppi continuano a «dividersi, frammentarsi, disgregarsi», allontanandole dall’obiettivo di una presenza paritaria in politica. Ciò di cui le donne mancherebbero, per incidere sulla vita pubblica come forza collettiva, sarebbe la «coesione» e la «compattezza» che ha permesso agli uomini di conquistare potere e di spartirselo. Il prezzo, così come viene solitamente descritto, ricorda l’aspetto più deteriore della politica maschile: risparmiare o rinviare a migliore occasione la critica, anche quando si è in disaccordo, sostenere candidati del proprio schieramento anche quando non li si considera idonei al loro ruolo, limitandosi a «detestarli silenziosamente», rinunciare alla «schiettezza» e alla voglia di esprimere le proprie emozioni, mantenere la distanza «tra l’amore e la civile convivenza». Non si può non restare perplessi di fronte a un’idea di convivenza che sembra tutto fuorché «civile», fatta di reticenze e odi mascherati, ma soprattutto di compattezze costruite sull’irrigidimento di fedeltà e appartenenza, che come sappiamo hanno sempre avuto come contropartita l’esclusione dell’altro, del diverso, vissuto come un pericolo per l’integrità del gruppo.”

Articolo pubblicato il 22.XI.2016 (ultima modifica, 24.XI.16, 11.47 su la27ora, 27esimaora.corriere.it, per leggerlo clicca qui

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Perché oggi possiamo pensare di cambiare i ruoli di potere

“Che altro sono il populismo, la “normalità”, il risentimento verso la “politica” tradizionalmente intesa, da cui viene il consenso a una figura “impresentabile” come Trump, se non quel retroterra che la civiltà ha creduto di poter controllare, tenere fuori dalla scena pubblica, dalle sue istituzioni, dai suoi “valori”, identificato per secoli col destino femminile? Se Bill Clinton dovette umilmente piegarsi a processo mediatico planetario senza precedenti, Trump può esibire con arroganza e vanteria la sua prestanza virile perché il capovolgimento temuto e tenuto a bada per secoli tra il corpo e la polis, la sessualità e la politica, oggi è sotto gli occhi di tutti. È passato quasi mezzo secolo da quando una generazione di donne “imprevista” sulla scena del mondo ha preso parola per dire “il personale è politico”. Oggi finalmente è chiaro – è quello che si legge nell’articolo di Mauro Magatti- che «quanto sta accadendo negli Stati Uniti ci riguarda tutti, uomini e donne».

Articolo pubblicato su La27Ora il 17 ottobre 2016, clicca qui per leggerlo

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Perché ha ancora senso dirsi femministe

‘Mentre si va sempre più diffondendo l’attenzione agli stereotipi del maschile e del femminile, e alle cosiddette ‘problematiche di genere’, nessuno sembra essersi accorto che se c’è uno stereotipo duraturo è proprio il femminismo, la rivoluzione delle coscienze che ha messo a tema il rapporto di potere tra i sessi e la cultura che lo ha trasmesso lungo una storia millenaria.
Effetto dell’ignoranza o di una volontaria messa sotto silenzio, la banalizzazione e gli storpiamenti che hanno subito le teorie e le pratiche del movimento delle donne, da cinquant’anni a questa parte, appaiono incomprensibili se messi a confronto con il profluvio di parole come gender, trans gender, queer, lgbtq, che oggi occupano il dibattito pubblico e di cui sembra essersi persa l’origine.
Ho pensato perciò che non fosse inutile richiamare alcuni dei passaggi che hanno fatto della cultura femminista la critica più radicale alla politica tradizionalmente intesa, alla divisione sessuale del lavoro e a un modello di civiltà distruttivo nei suoi fondamenti, oggi più visibili che in passato.

Alla domanda “perché ha ancora senso dirsi femministe’, risponderei così:’

Per leggere l’intervento completo di Lea su La27esimaora del 12.X.2016, clicca qui.

Disponibile anche in finlandese, clicca qui

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Riflessioni a margine di un interessante articolo di Pietro Barbetta.

Articolo pubblicato il 1 agosto 2016 su La27ora
“Non ho potuto fare a meno di estendere la stessa analisi –l’avversario che diventa nemico da annientare, l’esistenza di un inconscio sociale che veicola patologia sistemica, ecc.-alla storia di un dominio come quello maschile e alle sue ricorrenti esplosioni di violenza manifesta contro le donne. Si tratta dell guerra di un sesso contro l’altro, mai dichiarata ma con effetti devastanti e duraturi per quanto riguarda l’esistenza materiale e simbolica di quella metà dell’umano che è stata considerata più prossima alla natura e all’animalità. Che differenza passa tra la mano di un marito, fidanzato, amante, fratello, che per colpire la donna, sotto la spinta di quella legge di sopravvivenza che Elias Canetti definisce mirabilmente “morte tua, vita mia”, e quella del giovane reso folle dall’odio per il nemico, reale o immaginario, che gli rende insopportabile la vita?”

Per leggere l’articolo completo clicca qui

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