“Una geografia non una genealogia, paesaggi inquinati ma dove può nascere movimento e libertà” (“Lapis”, 1987-1997)
Pensare alla trasmissione del sapere femminista in termini generazionali, significa -come dice giustamente Judith Butler- riportarli dentro una struttura famigliare di madri e figlie:
“Dobbiamo chiederci se pensare alle differenze generazionali in questi termini sia il modo migliore per farlo, dal momento che alcune donne non sono madri, non vogliono esserlo, ma fanno parte del femminismo e questa loro scelta è protetta dal femminismo stesso. Altre femministe, invece, hanno avuto figli ma il loro femminismo non si basa sul fatto che siano madri -è successo loro di diventare madri, ma non per questo portano avanti un femminismo materno.
E alcune delle più giovani possono benissimo presentarsi non come “figlie” delle generazioni più anziane ma come “studentesse”, ad esempio, o come parte di una relazione complessa in cui imparano da loro, resistono loro, o addirittura si distanziano da loro.
La metafora famigliare mi preoccupa perché il femminismo deve pensarsi anche al di là dei termini della famiglia, per cogliere le nuove forme di intimità, le nuove reti di alleanze e i cambiamenti che sono avvenuti nell’idea della parentela e nei ruoli genitoriali.
A dire la verità, aspetto con ansia un pensiero sulle nuove forme di parentela che non siano solo quelle tra madri e figlie.
Le donne devono esistere in spazi e in relazioni che non siano completamente circoscritte dalla famiglia. Questa è la libertà delle donne. Se ricorriamo alla struttura famigliare per comprendere i legami tra donne ricostruiamo la famiglia come luogo proprio delle donne.”
(da “Il genere tra neoliberismo e neo fondamentalismo”, a cura di Federico Zappino, Ombre corte 2016)
Nella video intervista di Federica Mazzotta Di Pietro: con Alessandra Ghimenti
