Dedicato alla LUD

Questo post è dedicato alla LUD la cui durata trentennale molto deve alla capacità di “riprendersi”, “rileggere” la propria storia, aprirsi verso il possibile di ciò che appare in un dato momento “impossibile”.

“La ripresa non è né sottomessa e passiva come il ricordo ne’ ignorante e casuale come la speranza. Non è bloccata, gravata dal peso del passato, e nemmeno inconsistente e versatile in quanto proiettata a piacere nel futuro (…) la ripresa deve essere colta come un ‘ricordare in avanti’.
(…)
Si può dispiegare passo dopo passo la propria libertà -che non è concessa in un sol colpo- attraverso inflessioni sempre più risolute, riflesse a partire dalla vita passata; oppure ci si può compiacere ingenuamente nell’illusione di scegliere senza essersi dotati della capacità di farlo.
(…)
Le nostre vite, infatti, si misurano in base alla capacità non tanto di sopportare le disgrazie che le colpiscono dal di fuori, in conformità al noto modello stoico, quanto di tenere gli occhi il più possibile aperti sul negativo interno alla vita stessa attivando contestualmente la vita. E senza compensazioni e sostituzioni. Da qui discende la lucidità, che costituisce il punto di appoggio per il rilancio della vita e la ‘possibilità’ di una seconda vita.

Per potere una mattina, finalmente, quando scosto la tenda dalla finestra, quando guardo la finestra di fronte e la strada, cominciare a vedere levarsi, dal fondo della notte, ciò che può essere un mattino. Un mattino ‘in più’, ma che emerge dal mondo, pur procedendo dal mondo, tale come non l’avevo mai visto”.

(Francois Jullien, “Una seconda vita. Come cominciare a esistere davvero”, Feltrinelli 2017)

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Si può insegnare l’autocoscienza?

“Il piccolo gruppo di autocoscienza è stato la straordinaria invenzione di un movimento che ha inteso per la prima volta la “politica” come inseparabile dalla storia personale, dal dominio maschile che passa inconsciamente attraverso la confusione con un modello unico di sessualità, dal cambiamento di quell’impianto dualistico che nella rappresentazione di sé e del mondo ha contrapposto e complementarizzato non solo le differenze sessuali, ma anche natura e cultura, infanzia e storia, individuo e società, corpo e mente, ecc., impedendo di vedere i legami che da sempre li tengono insieme. L’intuizione che la “presa di coscienza”, lo scostamento da modelli interiorizzati, non muovono dall’interno dei saperi costituiti, né per continuità da un solitario pensiero di sé, poteva emergere solo dalla relazione tra singole donne disposte a “raccontarsi” in presenza le une delle altre, a lasciare che il percorso di ognuna trovasse risonanze e smentite in quello dell’altra, che da sguardi prima complici, ostili o indifferenti, si passasse a un giudizio solidale e al tempo stesso critico.”
Sottolineo: ” un pensiero solidale e al tempo stesso critico”. Mi colpisce oggi la fragilità che noto negli incontri tra donne, quando il pensiero, il giudizio dell’altra diverge e confligge col nostro. Le differenze vanno accolte, ma si deve poterle interrogare e mettere a confronto, senza temere o minacciare rotture.

Link su Libera università delle donne

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‘Arrivo a Milano’

La prima di sette puntate su Il femminismo a Milano, realizzato grazie a Memomi.3d.
Le altre si trovano sul sito Lud.

‘Prima puntata di “Il femminismo a Milano”. Da una scuola di provincia alle manifestazioni femministe che hanno segnato un secolo. Il racconto appassionante di una protagonista del femminismo milanese: Lea Melandri.’

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La lingua dell’amore è quella del dominio

”Se invece di stupirci ogni volta delle donne che non denunciano la violenza maschile, o che difendono il loro aggressore, ci interrogassimo più a fondo su che cosa è stato finora l’amore?
Non smetterò mai di ripetere quanto amore e violenza siano intrecciati, e quanto ci sia ancora da indagare sulle tante ambiguità e contraddizioni di un dominio che si è innestato e confuso con la vita intima.”

Per leggere tutto il testo, con tutti i riferimenti alle fonti primarie, clicca qui

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Primo seminario LUD 2017

Rinnoviamo l’invito. Vi aspettiamo numerose.
al primo seminario Lud del 2017.
“I cambiamenti a cui stiamo assistendo – il venir meno dei confini tra pubblico e privato, la crisi della famiglia tradizionale, la precarizzazione del lavoro e le nuove tecnologie – aprono nuovi scenari per affrontare alcuni dei bisogni primari riguardanti le relazioni: dalla riproduzione alla cura, dalla socialità alla solidarietà. Discuteremo le potenzialità e le ambivalenze di queste trasformazioni esaminando in particolare due fenomeni contemporanei: la comunicazione sui social network, tra solitudine e iperconnessione, e la riproduzione con le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), tra autodeterminazione e mercificazione”.

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Il femminismo in una grande manifestazione a Roma

26.XI.2016

Valeva la pena aspettare dieci anni per ritrovarci di nuovo in tante e poter dire che siamo un movimento, anche solo per un giorno, e non solo una rete virtuale, anche se le reti ci sono state di aiuto come spinta a uscire dalla carsicità.
Confluire in massa in una storica piazza di tutte le proteste, quale è piazza San Giovanni a Roma, è sicuramente il modo più felice per rispondere a una ricorrenza, come il 25 novembre, che felice non è. Una manifestazione come quella di oggi, come quelle che si sono succedute da quarant’anni a questa parte, devono darci il coraggio di dire che il femminismo, in tutta la varietà delle sue pratiche, dei suoi gruppi, collettivi, associazioni, ecc –o forse proprio per questa varietà- è l’unico movimento sopravvissuto agli anni ’70, l’unico che nonostante la messa sotto silenzio, l’ostilità che incontra nel nostro Paese in particolare, non ha mai smesso di riempire le piazze con donne di generazioni diverse, che non ha mai smesso, pur con tante contraddizioni, di ripresentarsi con la radicalità dei suoi inizi.

Non mi soffermerò sulle tante ragioni che ci hanno portato qui. Sulla violenza sappiamo molto, molto abbiamo detto e scritto analizzato, sia sulle sue forme manifeste -stupri, omicidi, maltrattamenti- sia su quelle meno visibili e perciò più subdole, più ambigue, che passano nella “normalità”, nel senso comune, nei gesti e nelle parole della quotidianità, e dell’amore così come lo abbiamo inteso o male inteso finora. Non si uccide per amore, ma l’amore c’entra, c’entrano quei vincoli di indispensabilità reciproca presenti anche là dove non ce n’è bisogno, c’entra l’infantilizzazione dei rapporti all’interno delle famiglie. Di quanto sia complesso liberarsi di rapporti di potere che si sono confusi con le esperienze più intime, sappiamo molto e molto dovremo ancora scoprire, analizzare.

Ma c’è un altro modo per parlare della violenza, che viene visto meno. E’ il fatto che da mezzo secolo a questa parte, le donne hanno dato vita a una cultura e a pratiche politiche per contrastare la violenza maschile in tutte le sue forme,a partire da quei segni profondi che ha lasciato dentro di noi, costrette a incorporare quella stessa visione del mondo che ci ha segregate fuori dalla vita pubblica, identificate con la natura, il corpo, la conservazione della specie. Abbiamo scritto e detto più volte che il sessismo è l’atto di nascita della politica, intendendo con questo sottolineare che il rapporto di potere tra i sessi è l’impianto originario di tutte le oppressioni e disuguaglianze che la storia ha conosciuto.

Forse è il momento di dire con chiarezza quello che non siamo più disposte a tollerare:
-che questo patrimonio di sapere, consapevolezze, studi, battaglie vinte venga messo sotto silenzio, lasciato negli archivi e che qualcuno ancora si permetta dire che il femminismo è morto o silenzioso;
-che quando interviene una “parola pubblica” a istituzionalizzare pratiche nate dal femminismo, come i consultori, i centri antiviolenza, ciò significhi emarginare le persone che vi hanno dato vita, cancellare l’autonomia delle pratiche che li ha caratterizzati. Mi riferisco al Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere dove i centri antiviolenza finiscono per essere confusi con il Terzo settore, i servizi sociali.
-che si parli tanto di educazione di genere e si lascino le donne che insegnano, quasi tutte precarie, a dover affrontare campagne denigratorie da parte di presidi e famiglie, rischiare il posto di lavoro, affrontare temi che richiedono una formazione, senza avere la certezza di finanziamenti al riguardo.

Siamo qui per dire che non dimentichiamo le donne che la violenza l’hanno subita nella sua forma più selvaggia, ma che non vogliamo più leggere su un giornale o sentire in un commento televisivo che sono “vittime” della passione o della gelosia di un uomo. Sono donne che hanno pagato il prezzo di una affermazione di libertà: quella, inconsueta per un dominio maschile secolare, della donna che dice “Io decido” della mia vita, della mia sessualità, di avere o non avere figli.

Vorrei che ci portassimo a casa questi due bellissimi slogan –“Io decido”, “Non una in meno”- per dire che continueremo a batterci contro imposizioni esterne, controlli, divieti, intimidazioni, ma anche per la liberazione da modelli, pregiudizi, leggi non scritte che ci portiamo dentro e che ci impediscono di trovare la forza collettiva di cui abbiamo bisogno. Se non possiamo condividere la varietà delle nostre pratiche, teniamoci almeno disponibili a momenti come questo e forse riusciremo a trovare quei “nessi” che legano la specificità dei nostri interessi, delle nostre esperienze, delle nostre storie.

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III puntata:“Il Collettivo di via Cherubini 8. Dall’autocoscienza alla pratica dell’inconscio”

‘Fin dai suoi inizi nel femminismo milanese si delineano due filoni principali: da un lato quello corrispondente ai gruppi che privilegiano la pratica dell’autocoscienza – racconto e riflessione sull’esperienza personale fatta in presenza di altre donne -, dall’altro quello che mette al centro analisi e interventi riguardanti la condizione sociale ed economica delle donne.

Nonostante queste differenti impostazioni, nel corso del ’71, i gruppi milanesi partecipano a incontri comuni, oltre alle riunioni che avvenivano nelle case. Uno di questi fu appunto il convegno che si tenne in giugno all’Umanitaria, a cui vennero anche donne di altre città. Non mancarono conflitti tra le donne del Demau, Rivolta Femminile, Anabasi, Cerchio Spezzato e i gruppi che sostenevano il salario al lavoro domestico, come Lotta Femminista.’

Articolo pubblicato il 15.IV.2016 su Comune-info.net, per leggerlo clicca qui

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Saggi: introduzione ‘A partire dal corpo’

Un’esperienza importante ed esemplare, da cui è nata l’Associazione Femminile Maschile Plurale a Ravenna.
“Per un dominio particolare, che si è confuso con le vicende più intime degli esseri umani, incorporato nel sentire più profondo degli individui, uomini e donne, nelle consuetudini del privato come nelle istituzioni della vita pubblica, non si poteva che aprire un campo di riflessione che tenesse dentro il corpo e la politica, il vissuto personale e la storia che vi è andata sopra, le consapevolezze nuove che hanno cambiato la vita delle donne e la reazione contraddittoria, sospesa tra insicurezza e speranza, degli uomini. L’esemplarità del “laboratorio” ravennate sta nell’aver indicato una pratica che si lascia alle spalle le tante semplificazioni con cui è viene solitamente affrontato il rapporto tra i sessi, prima fra tutte l’idea che si tratti di una “questione femminile”, uno svantaggio da colmare attraverso rivendicazioni, leggi di parità e diritti, a cui servirebbe perciò solo l’alleanza o la solidarietà degli uomini.”
(dalla mia Presentazione – clicca qui)

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