2 giugno 2016. Luci e ombre di una ricorrenza

Nel 1946 lo Stato italiano riconosce, estendendo anche a loro il diritto di voto, le donne come ‘cittadine’.
L’anno successivo, 1947, viene approvata la Costituzione che definendo la famiglia “società naturale fondata sul matrimonio” (art.29) e sulla ” essenziale funzione famigliare dela donna” -subordinata perciò al lavoro, alla sua attiva presenza nella vita pubblica-, di fatto confina le donne nel ruolo riproduttivo, necessario per la continuità e per la salvaguardia della “saldezza morale e la prosperità della Nazione.”
Nell’assemblea costituente del 15 gennaio 1947, Togliatti “dichiara che non ha nessun ostacolo, nè di carattere dottrinale, nè di carattere politico, a riconoscere la famiglia come una società naturale. Le forme sono storicamente determinate; ma nella sua coscienza accetta che sia una società naturale, e che esista il riconoscimento giuridico dello Stato. Voterà pertanto la ‘formula’ della Sottocommissione”.
Pressochè unica voce discordante, Lina Merlin “ricorda che in seno alla terza Sottocommissione, si è sempre opposta a che si inserissero nella Carta costituzionale definizione destinate a cristallizzare determinate situazioni. In materia di famiglia avrebbe preferito che non si fosse detto nulla, in quanto non è di carattere costituzionale. Se mai, lo Stato potrebbe limitarsi a garantire la famiglia e le condizioni materiali sulle quali essa deve basarsi”.
Quanto si sia “cristallizzata” una “determinata situazione storica”, fino a diventare “natura” immodificabile, lo dimostra il fatto che, con tutto il dibattere che si fa oggi sul cambiamento della Costituzione, sugli articoli che definiscono in modo così vistoso la maternità come requisito sociale e politico della ‘cittadinanza’ delle donne, inevitabilmente ‘imperfetta’, pesa ancora il più grande silenzio.

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