Aborto. La grande ossessione dell’immaginario maschile…

“Si discute molto in questo momento della scelta di fare o non fare figli, e della violenza quotidiana che subiscono le donne per lo più da parte di uomini con cui hanno intrattenuto legami amorosi e famigliari. Come si fa a non vedere il legame fra due questioni di primo piano nel rapporto tra i sessi e il ritorno di quella grande ossessione della cultura maschile più conservatrice, fatta propria purtroppo anche dalle donne, che è l’interruzione volontaria di gravidanza?

La grande ossessione che attraversa la storia fin qui conosciuta del rapporto uomo-donna è chiaro che riguarda essenzialmente la maternità, vista come destino naturale o obbligo procreativo per la donna: madre sempre e comunque, anche quando è solo moglie, figlia, sorella, compagna di vita; snaturata se non fa figli o se li uccide allo stato embrionale, ma anche se decide di abbandonare il luogo dove l’uomo si aspetta di trovarla -la casa, la famiglia, la cura del suo benessere e del suoi interessi.

La violenza maschile ha molti aspetti –da quelli più selvaggi e manifesti a quelli più invisibili, che si ammantano di sacralità e rispetto dei più alti valori umani- , ma un obiettivo sempre più evidente: impedire che le donne trovino il senso della propria vita in se stesse, e non nell’essere al servizio o in funzione dell’altro, nel rifiuto di conformarsi a modelli che contrastano coi loro desideri, a essere, come sono sempre state un «mezzo per un fine», nella sessualità come nella procreazione e nelle forme più elevate dell’amore.”

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Amore e violenza

C’è un modo per uscire dal perverso intreccio di amore e violenza, amore e potere: interrogare l’amore così come lo abbiamo conosciuto finora, aprirlo a nuove possibilità.

E’ una delle domande che si pone François Jullien nel suo ultimo libro tradotto in italiano, “Una seconda vita. Come cominciare a esistere davvero”, Feltrinelli 2017:

“Un secondo amore, per essere non la ripetizione ma la ‘ripresa’ di un primo amore, in che cosa si deve distinguere da quest’ultimo?”

Alcuni frammenti:

“Il secondo amore, infatti, avendo dissolto il mito dell’ “Amore”, non essendo più cieco…ha compreso che la celebrazione dell’Altro può mascherare l’autogiustificazione di sé o che ciò che amo sono le qualità che proietto sull’Altro, adornandolo e idealizzandolo…Ma ha compreso anche un’altra cosa, che l’amore ha qualcosa non solo di equivoco, fra il possesso dell’altro e la donazione di sé, l’eros e l’agape, ma anche di doppio, di torbido e di ambivalente, che ci vuole poco per passare dall’amore all’odio, dal desiderio di fare del bene al bisogno di fare del male all’altro e di sacrificarlo (“io ti amo”, ma proprio per questo mi permetto di mutilarti).
(…)
“Ho definito ‘intimo’ il tenore del secondo amore. Esso è fatto non più di passione che si volge in delusione o, quantomeno, destinata necessariamente a incontrare il proprio limite, ma dell’intimo che scopre in maniera inesauribile fra i soggetti. Il primo amore, che pone l’altro come oggetto, chiaramente può non essere condiviso (io ti amo/tu non mi ami), drammatizzandolo e rendendo così piacevole analizzarlo: per questo se ne possono trarre romanzi che, attraverso crisi e riconciliazioni, non cessano di esplorare quel particolare tipo di gioco. Diversamente, l’intimo implica necessariamente la reciprocità. Lo dice anche la lingua: sono intimità con te, ‘siamo intimi’, ossia noi ci instauriamo egualmente –congiuntamente- in posizione di soggetti senza che si debba stabilire a chi dei due ciò è dovuto. O, piuttosto, siamo ‘divenuti’ intimi”.
(…)
“Ne consegue che l’intimo si presenti come la natura stessa del secondo amore: mentre il primo amore, anche quando cede, resta nell’ambito del rapporto di forza (ciò che si subisce invoca la rivincita), il secondo amore, al contrario, procedendo dall’intimo, nasce dall’aver iniziato a estrarre l’Altro dai rapporti di forza che costituiscono la trama del mondo e anche dal fatto che su di lui non si proiettano fini o scopi. Ciò significa riconoscerlo come ‘soggetto’. Da lì proviene la ‘dolcezza’ intima del secondo amore che, de solidarizzando con la forza (che è sempre limitata), è fatto non tanto di affetto quanto di infinito.”
(…)
“L’intimo non si sforza né si domanda, è pudico e non enfatico; si limita alla constatazione: non ha nemmeno bisogno di dirsi. In compenso, continua a scorrere e a farsi cogliere nelle ‘minuzie’ del quotidiano. Non c’è nulla da raccontare. Ecco perché il romanzo procede alla narrazione drammatica del primo amore ma si arresta sulla soglia del secondo, non trovando più nulla di saliente, nulla di significativo, nessun evento da riportare..”
(…)
“Conosciamo bene la strategia del primo amore, fatta di conquista e possesso, in quanto la troviamo descritta in una quantità infinita di romanzi: come l’Uomo fa ‘cedere’ la Donna che resiste per, alla fine, capitolare o tenere duro. Si tratta di una strategia di ‘attacco’ e ‘resistenza’ scandita da assedi, trappole, marce d’avvicinamento, colpi di mano, molestie, sconfitte e riprese, con la vittoria dell’uno che è la sconfitta derll’altro.”
(…)
“Si dovrebbe esplorare in profondità quegli investimenti strategici del secondo amore che sono anche astuzie e mosse esistenziali. Tale è, in particolare, la strategia di quella che definirei ‘stima’, in quanto deve impedire che l’intimo decada in intimità, ossia in una essenza e in una proprietà. Si deve impedire che la dolcezza dell’intimo, che estrae l’Altro dal rapporto di forze, si confini in affetto (in dolcezza affettiva che facilmente scade nell’affettazione) mettendo troppo prudentemente la relazione al riparo disinnescando la virulenza del faccia a faccia.”
(,..)
“Non ci troviamo più sul piano della celebrazione di quel bel viso, idealmente fotografato per i suoi tratti, su cui faceva leva il primo amore. Diversamente, in quel viso si percepiscono tanti visi o, piuttosto, finalmente appare l’immensità celata di un volto…si ha allora la sensazione di avere solo cominciato a vedersi, che prima non ci si era mai visti, che tutto ciò che precede non era che maldestramente tentato. A quel punto, può iniziare la ‘ripresa’”

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A proposito della sequenza inarrestabile di stupri e femminicidi degli ultimi giorni…

A proposito della sequenza inarrestabile di stupri e femminicidi degli ultimi giorni, Dacia Maraini su La Stampa di oggi scrive: “Sono uomini apparentemente normali, bravi ragazzi, padri di famiglia, ma non reggono alla perdita del privilegio, del potere. Non reggono allo smacco, alla sconfitta. Non si uccide per amore, si uccide quando si perde qualcosa e non si sopporta di averla perduta.”

L’ amore c’entra invece, per tutte le ambiguità e contraddizioni che si porta dietro, così come c’entra una fragilità maschile che va interrogata alla luce della consapevolezza nuova che abbiamo oggi di un potere -dell’uomo sulla donna- innestato e confuso profondamente con le esperienze più intime, come la sessualità, la maternità, i legami famigliari. Come si spiega altrimenti il fatto che le donne, oggi più consapevoli e libere, ancora fanno fatica a riconoscere nell’uomo violento un pericolo, ancora sopportano a lungo maltrattamenti, ancora accettano di presentarsi a un appuntamento pur sentendone i rischi?
Possessivita’ e paura degli abbandoni nell’amore non sono solo dell’ “immaturità” maschile, ma di entrambi i sessi e di tutte le forme di amore, tra diversi e tra simili. Maschile è il potere con cui l’uomo ha fatto del suo primo oggetto d’amore -la donna madre- anche la garanzia della sua sopravvivenza materiale affettiva e psicologica, del matrimonio e della divisione sessuale del lavoro il prolungamento della sua infanzia, con ruoli rovesciati.

‘Amore’, di Stefano Levi Della Torre

Cominciamo dall’alfabeto dei sentimenti primari…

Che possibilità hanno di entrare nella scuola i libri che nascono a seguito della rivoluzione culturale del femminismo sui temi del corpo, della sessualità, della maternità e dell’amore?

Un libro interessante, a questo proposito:
Stefano Levi Della Torre, “Amore”, Rosenberg & Sellier, Torino 2013.

Frammenti

“Ci si può innamorare per il desiderio di essere amati, o anche per il bisogno inesauribili di sentirsi amati. La psicologia e in particolare la psicoanalisi hanno fatto luce su una stimmate originaria, più o meno sanguinante in ogni essere umano: la ferita inevitabile subita nell’infanzia dal nostro desiderio di essere infinitamente amati, desiderio che si scontra col fatto che la prima dispensatrice reale immaginario di questo amore, la madre, non è parte di noi ma è persona distinta , capace di assenza e di imporci confini.
Questa disillusione è un viatico che ci apre alla realtà del mondo, alla realtà dei nostri limiti e della nostra separatezza individuale, e resta un rumore di fondo doloroso di ogni nostra esperienza affettiva.
E’ la disillusione in agguato che può trasformare la libertà del nostro desiderio nella schiavitù di un bisogno. Sì che siamo spesso portati a chiedere amore a chi ce lo nega (almeno nel’infinito che vorremmo), quasi a ritornare in un “gioco dell’oca” a quella casella di partenza per rilanciare i dadi, sperando in un altro esito che smentisca quella ferita iniziale e ci guarisca per sempre.”

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André Gorz, “Lettera a D. Storia di un amore”, Sellerio Editore 2008

Scrive Sibilla Aleramo:
“Ho bisogno di essere necessaria a un’altra creatura viva per vivere…Ecco l’amore è questo: l’attaccamento a una persona alla quale ci si crede necessari…L’amore nella donna, almeno. Per otto anni io ho dato tutto di me a Franco, ho compiuto questo atto sacrilego dal punto di vista della mia individualità.”
Dopo essersi illusa di poter confondere due anime in una creatura unica, perfetta, la donna scopre che al centro c’è sempre solo l’uomo, attento a nutrire la sua anima, le sue opere, a cui lei ha fornito spesso solo “un equilibrio organico”: il corpo che gli dorme accanto, il sostegno affettivo e psicologico, l’ispirazione.

Questa consapevolezza, che si è svegliata nella donna da più di un secolo a questa parte, oggi emerge anche in qualche uomo. E’ interessante notare come intuizioni analoghe a quelle che compaiono nei Diari di Sibilla Aleramo, scritti tra il 1940 e il 1960, ritornino nel libro di poche pagine, scritto da André Gorz, Lettera a D. Storia di un amore, dedicato alla moglie Dorine e pubblicato l’anno prima che decidessero, ottantenni, di suicidarsi insieme, nel 2008.
E’ una tenerissima dichiarazione d’amore, l’amore di una intera vita, e, al medesimo tempo un abbozzo di ‘autocoscienza’ maschile sugli aspetti contraddittori, ambivalenti della fusionalità nel rapporto di coppia.
“Perché – si legge nella Lettera di Gorz – sei così poco presente in quello che ho scritto, mentre la nostra unione è stata ciò che vi è di più importante nella mia vita? Perché ti ho presentato come una creatura pietosa…’che si sarebbe distrutta senza di me’, mentre tu avevi la tua cerchia di amici?”
“Sapevi, fin dall’inizio, che avresti dovuto proteggere indefinitamente il mio progetto.”
“Mi lanciavo a testa bassa in una nuova impresa che mi avrebbe monopolizzato. Ma tu non mostravi né agitazione né impazienza. ‘La tua vita è scrivere. Allora scrivi!’, ripetevi. Come se la tua vocazione fosse di confortarmi nella mia.”
“Tu ti sei data tutta per aiutarmi a diventare me stesso. La dedica che ho scritto nella tua copia dice: ‘A te detta Kay che, dandomi te, mi hai dato Io’”.

Nota biografica
André Gorz è morto suicida nel 2007, assieme alla moglie Dorine, affetta da un morbo degenerativo. «Ebreo austriaco» come si definiva, era nato a Vienna nel 1923 e prestissimo si era trasferito a Losanna, e dopo a Parigi, dove aveva iniziato la carriera di giornalista e saggista. Ha diretto «Les Temps Modernes», la rivista di Sartre, e fondato con Jean Daniel il «Nouvel Observateur». È stato uno dei grandi intellettuali di Francia, influenzando l’esperienza della sinistra europea con i suoi libri aperti a teorizzazioni antiautoritarie ed ecologiste. Lettera a D. Storia di un amore, scritto nel 2006, è la sua ultima opera.

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Scoperte

Una bellissima recensione del mio libro-“Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà” (Bollati Boringhieri 2011) fatta da Paola Di Cori, amica e autorevole storica del femminismo.
Grazie…con imperdonabile ritardo!
“Al centro dell’analisi di Melandri è quello che lei chiama “il fattore molesto”, il dato che disturba, distruttore della diade amorosa, ciò che si insinua nella coppia fusionale; l’aspetto violento nascosto dentro l’amore, “per quel retaggio preistorico che si porta dentro: la nostalgia dell’originaria unità a due”. (p. 65) Dei cinque capitoli, il secondo – “Madri amanti” – contiene pagine di critica assai brillanti e condivisibili sulla rappresentazione del femminile nell’era berlusconiana, in cui trionfa la polarità madre-prostituta, il corpo materno e quello erotico, variamente miscelati quando si vuole parlare dei vantaggi del “fattore D” nelle aziende, nelle istituzioni, nei media.”

Pubblicato il 5.V.2011 su Ingenere.it, link

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Un’adorazione vorace

Grazie Marco Dotti
” Si può parlare dell’amore per i bambini anche per il pedofilo”?
-“tali disastri possono essere generati dall’amore stesso?”
-“come è possibile che gli adulti, che sicuramente amano i bambini, siano in grado di infliggere loro anche tanti supplizi?”.
In altre parole: che cosa lega l’amore alla violenza, l’attrazione per ciò che il bambino rappresenta -la vita che si rigenera, la nostalgia della beatitudine infantile, il corpo a corpo con la madre, l’immortalità, ecc.- e le pulsioni distruttive? Un interrogativo che potremmo porci anche per i rapporti di coppia, per le relazioni amorose adulte: non si uccide una donna per amore, ma l’amore c’entra, se è vero che a uccidere sono mariti, fidanzati, amanti, cioè persone legate sentimentalmente alla vittima.

Articolo pubblicato l’8.II.2017 “Tysm”. Last accessed 8 febbraio 2017. Per leggerlo tutto, clicca qui

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“UN AMICO E’ UN LUOGO DI TRANQUILLO DEPOSITO DI SÉ'”

(Rossana Rossanda)
La gratuità dell’amicizia – come dice Rossanda- sta nel dare senza togliere, nel lasciare che uno si ponga di fronte all’altro per quello che è, senza infingimenti, senza ricatti silenziosi o aspettative nascoste. Dove non c’è aggrappamento, indispensabilità reciproca, non c’è tentazione di fuga né ansia di possesso. L’amico si incontra senza risentimento per la lunga assenza, e dal silenzio che è calato in mezzo il discorso riprende come se non fosse mai stato interrotto. Difficile darne una definizione più precisa e suggestiva: “un tranquillo deposito di sé”.
Aggiungo: c’è da sperare che un giorno si possa dire lo stesso dell’amore.

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