Letture natalizie/antinatalizie: la tragica saggezza di Carlo Michelstaedter

“Vuoti in ogni presente…per soddisfare la fame insaziabile e mancare sempre di tutto”.

Da
Carlo Michelstaedter, “Il dialogo della salute e altri saggi”, Adelphi 1988:

“Tuo è ciò di cui non puoi fare a meno. Ma se tu non ne puoi far a meno, non tu le ‘hai’ in tua potestà: ma esse ‘hanno’ te, e tu dipendi da loro che non puoi sussister senza di loro. -E le persone care non forse allo stesso modo ti sono necessarie bensì e tu sei necessario a loro, ma il vostro amore non c’è chi lo possa saziare – né baci né amplessi, né quante altre dimostrazioni l’amore inventi vi possono compenetrare più l’uno dell’altro? Ma sempre vi tiene un eguale bisogno vicendevole. – Così ogni cosa è nostra solo perché ne abbiamo bisogno, solo perché ne usiamo -e mai abbiamo usato così delle cose della vita da non desiderare alcuna cosa, ma d’ ‘aver la nostra vita in noi’. – Perché non possediamo mai la nostra vita, l’aspettiamo dal futuro, la cerchiamo dalle cose che ci sono care perché ‘contengono per noi il futuro’, per essere anche in futuro vuoti in ogni presente e volgerci ancora avidamente alle cose care per soddisfar la fame insaziabile e mancare sempre di tutto. -Finché la morte togliendoci da questo gioco crudele, non so cosa ci tolga- se nulla abbiamo. -Per noi la morte è come un ladro che spogli un uomo ignudo.”

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”Vuoti in ogni presente”

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Da
Carlo Michelstaedter, “Il dialogo della salute e altri saggi”, Adelphi 1988:
“Tuo è ciò di cui non puoi fare a meno. Ma se tu non ne puoi far a meno, non tu le ‘hai’ in tua potestà: ma esse ‘hanno’ te, e tu dipendi da loro che non puoi sussister senza di loro. -E le persone care non forse allo stesso modo ti sono necessarie bensì e tu sei necessario a loro, ma il vostro amore non c’è chi lo possa saziare – né baci né amplessi, né quante altre dimostrazioni l’amore inventi vi possono compenetrare più l’uno dell’altro? Ma sempre vi tiene un eguale bisogno vicendevole. – Così ogni cosa è nostra solo perché ne abbiamo bisogno, solo perché ne usiamo -e mai abbiamo usato così delle cose della vita da non desiderare alcuna cosa, ma d’ ‘aver la nostra vita in noi’. – Perché non possediamo mai la nostra vita, l’aspettiamo dal futuro, la cerchiamo dalle cose che ci sono care perché ‘contengono per noi il futuro’, per essere anche in futuro vuoti in ogni presente e volgerci ancora avidamente alle cose care per soddisfar la fame insaziabile e mancare sempre di tutto. -Finché la morte togliendoci da questo gioco crudele, non so cosa ci tolga- se nulla abbiamo. -Per noi la morte è come un ladro che spogli un uomo ignudo.”

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Fusioni chimiche armoniose – Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”

Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”(1910), Adelphi 1982
“Così quando due sostanze si congiungono chimicamente, ognuna saziando la determinazione dell’altra cessano entrambe dalla loro natura, mutate nel vicendevole assorbimento. La loro vita è il suicidio. Per esempio il cloro…se noi lo facciamo rinascere e lo mettiamo in vicinanza dell’idrogeno, esso non vivrà che per l’idrogeno. L’idrogeno sarà per lui l’unico valore nel mondo: il mondo, la sua vita sarà unirsi all’idrogeno…Ma soddisfatto l’amore, la luce anch’essa sarà spenta, e il mondo sarà finito per l’atomo di cloro. Poiché la presenza dell’atomo di idrogeno avrà fatto palpebra all’occhio dell’atomo di cloro, che non vedeva che idrogeno, e gli avrà chiuso l’orizzonte, che era tutto idrogeno. Il loro amore non è per la vita soddisfatta, per l’essere persuaso, bensì per vicendevole bisogno che ignora la vita altrui…S’afferma l’una determinazione nell’affermarsi dell’altra, ché ognuna vedeva nell’altra solo il proprio affermarsi. Il loro amore è odio come la loro vita è morte.”
“La loro degenerazione è detta educazione civile, la loro fame è attività di progresso, la loro paura è la morale, la loro violenza, il loro odio egoistico –la spada della giustizia. (…) Si son fatti una forza della loro debolezza, poiché su questa comune debolezza speculando hanno creato una sicurezza fatta di reciproca convenzione. E’ il regno della rettorica.”
Carlo Michelstaedter, “Epistolario”, Adelphi 1983
“Mamma mia, quando mi coprivi se avevo freddo, mi nutrivi se avevo fame, mi confortavi quando piangevo (…) dimmi, allora facevi questo come una bambina con la sua bambola, che può ripetere senza fine ogni giorno lo stesso gioco (…) Tu non mi curavi per potermi curare ancora in futuro -non mi curavi con la speranza ch’io ti rimanessi eternamente fragile e impotente oggetto di cure- ma anzi per non aver più da curarmi, perché io non avessi più bisogno che nessuno mi curi..”
Nessuno con maggiore lucidità di Carlo Michelstaedter, figura singolare di “fanciullo e profeta”, all’inizio del Novecento ha descritto, in quella che doveva essere solo una “tesi di laurea”, a cui fece seguito il suo suicidio a soli 23 anni, “l’uguale affanno di sopravvivenza che tiene insiem gli affetti famigliari e le relazioni sociali.
I suoi scritti dovrebbero essere in ogni biblioteca scolastica, soprattutto oggi che dalle alte cariche istituzionali (vedi Ministra Giannini, ma anche il Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, appena approvato) viene un insistente richiamo all’educazione dei sentimenti, dell’amore, delle relazioni tra i sessi, ecc.

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Infante è il mondo

“I malsicuri padroni e i malsicuri liberti si guardano con terrore, nostalgici gli uni del sicuro dominio, gli altri delle catene sicure. L’amore e l’aperta battaglia minacciano allo stesso modo la loro sicurezza”.
(Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la retorica”, Adelphi 1982)

Come
La legge della sopravvivenza vuole che due esseri simili e ugualmente liberi debbano avere bisogno l’uno dell’altro per garantirsi la vita. Anche se il vincitore è il solo a poter affermare la sua individualità di fronte a un nemico divenuto “materia” e “cosa” per i suoi bisogni, come il padrone e lo schiavo essi sono costretti a restare uniti.
Per aver diviso astrattamente la proprietà della vita dalla potenza reale di crearla, due funzioni diverse e contrapposte si fanno complementari, e la disparità coperta dall’essersi indispensabili, sembra contare meno della convinzione che il distacco significherebbe per entrambe la morte.
La guerra che precede la spartizione dei campi e la distribuzione del potere sociale tra gli uomini è quella che vede il figlio trionfare sul corpo che lo ha creato per non doverlo temere e per conservarne i vantaggi. Tanto più necessaria quanto più capace di offrire nutrimento e piacere all’uomo che da lei dipende dominandola, la donna si rende indispensabile alla vita dell’altro, convinta di assicurarsi in questo modo anche la propria.
L’onnipotenza dell’organizzazione sociale cresce sull’impotenza del singolo, ogni forma di dominio su una consegna di schiavitù. Così il bambino riaccende ogni volta le sue paure per potersi affidare a una madre, e quando sente muoversi la libertà nella sue gambe e nelle sue mani, trema ancora di più e si finge bisognoso del calore che sta per perdere. Non ancora capace di far sentire la propria voce, l’ “l’infante” del mondo cammina per sentieri che altri hanno preparato per lui, ugualmente ignari e inconsapevoli del traguardo ultimo di quella fatica.
Sulla gran “via polverosa” della civiltà cammina un uomo a cui una madre, non si sa se premurosa o timorosa di perderlo, ha dato piedi da bambino, perché nello smarrimento continuasse a cercare braccia rassicuranti. Se anche le sue opere lo hanno visto farsi grande e sovrastare il corpo che lo ha partorito, il riposo e il compenso di tanto lavoro conservano la dolcezza che hanno i giochi di infanzia.
Una “tranquilla e serena minore età” fa da velo alla storia di una specie che non conosce ancora né nascita né morte, e che se anche tiene lo sguardo sopra il mondo, non può vederlo perché ha occhi ciechi.
(da L. Melandri, “Come nasce il sogno d’amore”, Rizzoli 1988, Bollati Boringhieri 2002)

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