A chi fa della violenza contro le donne un problema di “sicurezza delle città” o invoca la “protezione” maschile, una maggiore “riservatezza” femminile, quanto ad abbigliamento, uscite serali ecc., un interessante contributo di Stefano Ciccone, più che mai attuale.
‘Oggi si è tenuta a Taormina una manifestazione promossa da uomini contro la violenza sulle donne. Un segno importante di un mutamento in corso. Ma la riflessione nel mondo maschile è ancora fragile e limitata e così, spesso, iniziative frutto della buona volontà rischiano di riproporre inconsapevolmente vecchi stereotipi. Questo il mio contributo all’iniziativa con un messaggio al promotore che ringrazio: Caro Alessandro Cardente, purtroppo non posso essere a Taormina in questa occasione importante. Voglio però inviarvi un saluto e un piccolo contributo frutto dell’esperienza di maschile plurale, una rete di uomini che da tanti anni, in tutta Italia si batte contro la violenza maschile e contro la cultura in cui questa violenza nasce.
Purtroppo la violenza degli uomini contro le donne ha radici profonde dentro di noi: nell’idea di amore come possesso, nell’incapacità di accettare e riconoscere la libertà a l’autonomia della nostra compagna, nel mescolare protezione e controllo, sostegno e affermazione del proprio potere.
Per questo nessuno può sentirsi estrano a questa chiamata in causa: la violenza chiede innanzitutto a ognuno di noi di riflettere sulle nostre complicità, sulle nostre pigrizie e sulle nostre ipocrisie.
Oltre a incoraggiare le donne a denunciare dobbiamo vedere quanti, in famiglia, al lavoro, tra amici, voltano la testa dall’altra parte lasciando sole le donne. D’altronde diciamo: Tra moglie e marito non mettere il dito”…
La vostra manifestazione fa un passo importante: mette al centro gli uomini e chiede agli uomini di prendere parola in prima persona e di impegnarsi contro la violenza.
Ma cosa possono fare gli uomini e come possono impegnarsi? Non è facile e vi invito, anche questa sera a riflettere su quanto, anche quando ci battiamo contro la violenza, rischiamo di riprodurre una cultura radicata che è alla base di questa violenza.
Possiamo porci come i difensori delle donne, quelli che le proteggono dagli altri uomini? Questa idea che torna anche nell’immagine che promuove questa importante iniziativa, ha dei rischi su cui dobbiamo riflettere: il primo è di rappresentare, di nuovo, le donne come soggetti deboli, bisognosi di protezione da parte di un uomo. E quante volte questa idea ha autorizzato un uomo ad affermare il proprio controllo e il proprio potere? Io porto i soldi a casa, io ti proteggo dagli altri uomini e quindi sono il capo famiglia, quello che comanda. La violenza nasce spesso dall’incapacità di riconoscere e accettare l’autonomia, la libertà e la forza delle donne. Non nascondiamola. La violenza nasce spesso chiamando il proprio desiderio di controllo come protezione: non diamo alibi alla violenza.
L’impegno necessario che chiediamo agli uomini, quello che dobbiamo assumere come uomini, non è, dunque, di difendere le donne, le nostre donne dagli altri uomini. No. Sappiamo tutti che la violenza è opera di fidanzati, mariti, ex. La violenza non viene da lontano: è nelle nostre famiglie e nelle nostre relazioni: non dobbiamo difenderci da una minaccia estranea ma dobbiamo cambiare le nostre relazioni, la nostra cultura. Dobbiamo cambiare noi uomini.
E non solo per sradicare la violenza ma per vivere più liberi, tutti, insieme, donne e uomini.’