In ricordo di Ingeborg Bachmann

“Dagli interni delle case, dove si consuma una morte lenta per mancanza di verità, per il grigiore delle abitudini, gli odi trattenuti, i tradimenti nascosti, l’infamia degli uomini va a ricongiungersi alle “squallide azioni” della loro vita pubblica. Solo una donna che, per intelligenza e cultura, è riuscita ad addentrarsi in un mondo che non le era destinato, tanto da attribuirsi – nel racconto Il trentesimo anno- un Io maschile, può dire di averne capito le mascherature e gli inganni e, proprio per questo, di non essere disposta a condividerli.”

F. De La Motte-Fouqué , “Ondina. La ninfa che divenne donna per amare”,
Ingeborg Bachmann, “Ondina se ne va”, Filema Edizioni, Napoli 2004.

Frammenti dalla mia Lettura ai due testi

A tutte le donne che incontrano, gli uomini assegnano una funzione, affinché nulla venga loro a mancare: ne fanno le loro mogli, le donne per un giorno, un weekend e per tutta la vita; le vogliono come Muse o ‘bestie da soma’, come ‘compagne istruite e comprensive’ o ‘collaboratrici’ per garantirsi un futuro o una discendenza.
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Che cosa possono avere in comune la favola di un romantico barone del primo ‘900 e l’”invettiva” tenera e rabbiosa contro gli uomini di una lucida coscienza femminile vicina a noi, come Ingeborg Bachmann? Accanto a matrimoni, famiglie, progenie, con cui ha inteso adempiere ai doveri della sua vita civile, l’uomo non ha mai smesso di celebrare altre “nozze”, lontano da parate istituzionali e in sintonia coi richiami antichi della sua appartenenza al mondo naturale.
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L’”amante marina” è creatura dell’uomo, la statua che Pigmalione vede trasformarsi in donna, la ninfa emersa dai flutti a cui il Cavaliere Uldebrando, nella favola di La Motte-Fouqué, dà un’”anima” umana. Ma è anche quel luogo di perdizione e di salvezza, “prodotto dalla follia maschile”, di cui parla Otto Weininger in Sesso e carattere:
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“Voi avete sognato di me”, dice Bachmann nel momento in cui, disincantata Ondina, ha deciso di non dire “mai più né ‘tu’ né ‘sì’”.
La “sconosciuta” che intona il lamento ai matrimoni e che guarda dietro la maschera delle abitudini coniugali, la donna nel cui bacio si potrebbe morire, è, per il sesso che ha imposto la sua lingua e la sua legge, l’altro, il diverso, lo straniero dal volto duplice e contraddittorio: prodotto dalle “scorie della storia, delle pulsioni e degli istinti”, a metà tra la “natura selvaggia” e la strada che porta alla civiltà, ma, per un altro verso, anche potenza originaria, immane e immutabile come il mare, o spirito custode di verità inaudite.
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Nella specie umana, scrive a sua volta Bachmann, ci sono donne violente “che affilano le loro lingue”, e donne miti “che versano un paio di lacrime in silenzio”, donne che la sera, calmati i bambini, spento il gas, giacciono nei loro letti con gli occhi spalancati nel buio, pieni di disperazione e cattiveria. Fanno i conti con il matrimonio, con gli anni, con il denaro della spesa, e si abbandonano a pensieri di vendetta, sognano la morte dei loro uomini e subito dopo piangono su di loro e su se stesse.
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Bachmann non aspetta che sia un Dio a sollevarla dalla propensione ad amare in modo assoluto -amori sempre diversi e sempre uguali, presto e mai del tutto dimenticati, pronti a ricominciare, lo “stesso amore” e lo “stesso errore”, a cui “si è predestinati”. Un’Ondina che non ha più bisogno di un Pigmalione per avere vita e pensieri, può voltare le spalle e, andandosene, in un ultimo sguardo pronunciare le parole di un lungo silenzio, togliere la maschera ai luoghi che le erano parsi pieni di luce.
Dagli interni delle case, dove si consuma una morte lenta per mancanza di verità, per il grigiore delle abitudini, gli odi trattenuti, i tradimenti nascosti, l’infamia degli uomini va a ricongiungersi alle “squallide azioni” della loro vita pubblica. Solo una donna che, per intelligenza e cultura, è riuscita ad addentrarsi in un mondo che non le era destinato, tanto da attribuirsi – nel racconto Il trentesimo anno- un Io maschile, può dire di averne capito le mascherature e gli inganni e, proprio per questo, di non essere disposta a condividerli.
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L’ “amante marina”, sottratta alla favola che l’ha posta al centro dei sogni dell’uomo, non sembra tuttavia aver perduto, agli occhi della donna che l’ha portata dentro di sé come un destino, il fascino che assume un’esistenza estranea alle bassezze della storia e capace, contro un ordine che conosce solo l’”utile”, di far emergere una “grande idea priva di praticità”. Pur pagato col prezzo di una eroica dolorosa solitudine, l’incanto di acque rigeneratrici non si eclissa con la stessa rapidità degli amori a cui ha dato alimento.

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