”Molestie, desiderio e autodeterminazione: serve una nuova cultura del consenso”

Un articolo che vale davvero la pena di leggere per intero.

“Resistere a una cultura dello stupro e dell’abuso deve implicare molto di più del semplice insistere sul diritto individuale di dire di no – sebbene sia questo un dignitoso punto di partenza e un difficile concetto da concepire per alcun persone che marciscono davanti a YouPorn. E c’è un motivo per questo.

Il motivo per cui la nozione di un reale, continuo ed entusiasta consenso sessuale è così oltraggiosa, è che l’agire sessuale femminile – inteso come desiderio attivo di per sé – è ancora spaventoso.

La nostra cultura ha ancora pochissimo spazio per l’idea che le donne e le persone queer, quando viene data loro la possibilità, vogliono e godono del sesso tanto quanto gli uomini.

Molto prima di essere grandi abbastanza da iniziare a pensare di farlo, le ragazze vengono già allenate a immaginare il sesso come qualcosa che subiranno, piuttosto che qualcosa che potrebbero dare loro piacere.”

Fonte: Pasionaria,’ Molestie, desiderio e autodeterminazione: serve una nuova cultura del consenso’, pubblicato il 22 ottobre 2017, clicca qui

Facciamola finita col Cuore e la Politica

Repetita

Quando il cuore e la politica perderanno la maiuscola,
nessuno si meraviglierà se vede crescere giardini in mezzo ai casermoni urbani
e donne costruire palazzi
di città sconosciute.

“Se hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli, “prendere coscienza” di un’oppressione, peraltro evidente, e sopportare che questa lucidità si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire dopo ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione del mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una via di accesso più facile alla messa a nudo del sessismo, delle logiche d’amore e di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi della civiltà. Perché allora quella difesa estrema, sempre meno convinta eppure ostinata, della neutralità, che si esprime non solo nel cancellare dalle analisi politiche il rapporto tra i sessi, ma anche in quella copertura che è la sua distorta collocazione tra le questioni sociali: emarginazione, cittadinanza incompleta, sfruttamento economico, beni comuni, ecc.?”

 

“Per quanto riguarda gli uomini, viene invece il sospetto che “sappiano” e che sia proprio l’evidenza del privilegiotoccato loro storicamente e diventato “destino”, copione di comportamenti obbligati, a dover essere in qualche modo aggirata, perché colpevolizzante e quindi innominabile.

La comunità storica maschile ha visto cadere imperi, muraglie, confini, odi che sembravano irriducibili, eppure esita a far cadere le fragili pareti che separano la sua civiltà dalla porta di casa, l’immagine della sua “virilità” pubblica dalla posizione di figlio,fratello, padre, marito, amante.”

Articolo pubblicato su Comune-info.net il 25 ottobre 2015, ‘Il circolo degli uomini e i privilegi rimossi’

 

Verso il 25N

La grande determinazione e forza.

”A distanza di un anno, il 25/11/2017, Non Una Di Meno porterà di nuovo in piazza non solo i corpi di migliaia di donne ma anche un’elaborazione collettiva nazionale, una proposta politica, un piano femminista dal basso, un piano d’azione concreta e ragionata, per affrontare la violenza di genere e attaccarla sino alle sue radici. Certo, avendo convocato un grande corteo nazionale, la sfida che ci si pone di fronte è altrettanto grande, ma crediamo che manifestare a Roma, la sede delle maggiori istituzioni italiane, sia un segnale importante: non ci fermeremo finché ogni riga del nostro Piano non verrà applicata, finché non si smetterà di fare profitto, violenza e ingiustizia sui nostri corpi e sulle nostre vite.”

Articolo correlato: qui

Seminari “Il corpo e la polis”. Anno 2017-2018, ciclo a cura di Lea

Tre incontri sul tema:

Le problematiche del corpo dalle pratiche del femminismo degli anni Settanta all’oggi: continuità, allargamento o svolta?

A partire dai seminari del ciclo “Il corpo e la polis” 2016-17, che hanno indagato i rapporti tra corpo, singolarità e legame sociale, con un’attenzione particolare alla formazione di quelle che abbiamo chiamato“nuove intimità”, ci interroghiamo ora sui cambiamenti che sono avvenuti per quanto riguarda la sessualità, la procreazione, l’amore, i ruoli parentali, le relazioni intime, sia per effetto di ciò che oggi rendono possibile le biotecnologie, sia per le sollecitazioni che vengono dalla ripresa di un movimento o rete di donne nazionale e internazionale – Non Una Di Meno – aperto alle soggettività LGBTQI.
Le tematiche riguardanti il rapporto di potere tra i sessi appaiono oggi più complesse e articolate su piani e con linguaggi diversi: sessismo, razzismo, classismo, omo e trans fobia, binarismo, etero sessismo normativo, queer e gender troubles vari… Pur essendo quasi unanimemente riconosciuta come comune la matrice femminista – il partire da sé, l’autodeterminazione, la trasversalità del sessismo -, è importante non sottovalutare le paure, i conflitti o, al contrario, le nuove consapevolezze sollevate da un passaggio culturale, politico, generazionale, di evidente rilievo, vissuto in modo contraddittorio: da alcune/i come continuità e approfondimento, dal altre/i come una svolta.

Calendario dei tre incontri del ciclo:

1. Dualismo sessuale e binarismo di genere: continuità e discontinuità negli immaginari e nelle pratiche dei femminismi.
Intervengono: Beatrice Busi, Elisa Coco, Lea Melandri e Mauro Muscio
Coordina: Lea Melandri
Sabato 7 ottobre 2017, ore 14.30

Cosa significa liberare il corpo e la sessualità dai modelli culturali etero-normativi egemonici e appropriarsene per la creazione di nuove forme di soggettività? Cosa voleva dire autodeterminazione nel femminismo degli anni Settanta, e che cosa oggi? Quali somiglianze e differenze di analisi e pratiche politiche emergono tra generazioni e generi?

2. Intersezioni e posizionamenti: alleanze e riconoscimenti possibili.
Intervengono: Nicoletta Bonapace, Ethan Eretico Bonali, Marie Moise e Rahel Sareke
Coordina: Lea Melandri
Sabato 18 novembre 2017, ore 14.30

Se il sessismo attraversa tutte le forme di oppressione e gli oppressi stessi nel rapporto uomo/donna, il concetto di intersezionalità – la consapevolezza dell’importanza dell’intreccio di tutti gli assi di classe, etnia/razza, cultura, orientamento sessuale, stato di salute, ecc. – è fondamentale per riconoscere le diverse appartenenze e posizionamenti e costruire relazioni e alleanze non identitarie né gerarchiche.

3. Libertà sessuale e scelte riproduttive ai tempi delle biotecnologie: nuovi confini, in bilico tra autodeterminazione e mercificazione del sé.
Intervengono: Lidia Cirillo, Simone Cangelosi, Chiara Martucci e Michela Pagarini
Coordina: Lea Melandri
Sabato 13 gennaio 2018, ore 14.30

Ormoni sintetici e nuove tecnologie mediche hanno aperto inediti scenari per affrontare bisogni e desideri riguardanti corpo, sessualità e riproduzione. Discuteremo le potenzialità e le ambivalenze di queste trasformazioni interrogando esperienze e storie reali, fuori da ogni logica giudicante o contrappositiva.

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‘Ho altro da fare’

‘Nel 1976 trenta donne del quartiere Affori di Milano, quasi tutte casalinghe, rivendicarono il diritto di poter anche loro accedere ai corsi di formazione per la licenza media delle “150 ore”, grande e faticosa conquista ottenuta dalla lotta operaia di quegli anni.’

‘La seconda è stato un workshop di sartoria organizzato dal collettivo artistico di attivazione urbana Landscape Choreography: nel fine settimana della “fashion week” milanese, sarà presentata l’etichetta di moda nata da questa esperienza, Senza peli sulla lingua. Un’occasione per le donne coinvolte di esprimere sui capi d’abbigliamento le proprie esigenze e ribellioni, troppo spesso represse: “Comprati un paio di mani”, “Amare non è un lavoro”, “Ho altro da fare”, si legge, in arabo e in italiano, sulle magliette.’

‘Da queste connessioni nasce una riflessione che allarga lo sguardo verso tutta la comunità, partendo dal “lavoro di cura come spazio dove ripensare la produzione e la riproduzione sociale“, tema al centro del dibattito che aprirà la due giorni di incontri venerdì 22 settembre e a cui parteciperà anche Lea Melandri, testimone della esperienza femminista delle “150 ore”.’

Articolo pubblicato su Pasionaria il 21 settembre 2017, clicca qui

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Psicanalisi e femminismo

Nel documento “Pratica dell’inconscio e movimento delle donne” di Alcune femministe milanesi del 1975 si legge:

“…nella lotta per la nostra liberazione troviamo un nodo problematico, la sessualità, il corpo. Se si decide di non passare oltre con trovate ideologiche, è inevitabile fare i conti con la psicanalisi.”

Di questa importante intuizione iniziale del femminismo poco è rimasto. Oggi, di fronte alla sequenza di stupri e femminicidi, e più in generale al dibattito che finalmente si è aperto sulle questioni di genere, sessismo e razzismo, dovremmo sentirla ancora più necessaria.
Punire gli aggressori, tutelare le vittime, sostenere i centri antiviolenza, manifestare non basta, se contemporaneamente non si continuano a indagare le ragioni profonde di un dominio che passa attraverso i corpi e la vita intima.

Riletture per frammenti:

“Il femminile e il dualismo sessuale tendono a essere visti –negli studi di genere- solo come costruzione del pensiero e della volontà di potere dell’uomo, strumenti ideologici per giustificare il suo dominio, e non, come si potrebbe ipotizzare, prima di tutto rappresentazioni psichiche profonde dei desideri, delle paure, dei sogni che si formano intorno all’esperienza della nascita. Se oggi è difficile scindere interiorità e storia, ciò non significa che si possano appiattire l’una sull’altra, anziché coglierne i nessi. La riduzione al fattore culturale –storia, linguaggio, ec.- di un processo che tocca zone di inconsapevolezza (la vicenda originaria della specie e di ogni singolo), nell’uomo come nella donna, fa sparire l’interesse per la vita psichica, per il rapporto inconscio-coscienza, e quindi anche per il contributo dato dalla psicanalisi alla comprensione dei movimenti sotterranei che hanno dato forma allo sviluppo degli individui e della civiltà”.

“Altro effetto di riduzione e semplificazione è quello che vede il potere dell’uomo solo come potere del padre e, di riflesso, l’alleanza possibile tra la madre e il figlio, tra la donna e il giovane, entrambi vittime dell’autorità paterna. Si può pensare invece che la comunità storica degli uomini sia l’esito (e poi la causa) di quel processo di differenziazione che vede ogni volta il figlio staccarsi con sentimenti opposti, di amore e di odio, desiderio e paura, dal corpo che l’ha generato. L’immagine di un corpo femminile che dà la vita ma che può anche soffocarla, non è solo l’effetto della cultura dell’uomo; non è difficile ipotizzare che sia legata anche all’esperienza dell’inermità iniziale di ogni nato, e dell’essere stato tutt’uno con il corpo materno.”

“Per abbandonare l’identificazione con l’uomo (col suo desiderio, col suo piacere) è necessario analizzare la complessità della vita psichica, le fantasie, i sentimenti che hanno permesso la confusione tra piacere e sofferenza, tra piacere proprio e piacere dell’altro. Se si tiene conto che il dominio maschile emerge dalla zona di inconsapevolezza che avvolge vicende come la nascita e l’uscita da una condizione di animalità, che come tali riguardano entrambi i sessi, risulta semplificante liquidare come ‘schiavitù’ il ‘coinvolgimento emotivo’ della donna, la sua ‘capacità di accordarsi e favorire’ il desiderio altrui.

La ricerca di ‘differenze’ già date e di ‘autenticità’ ha bisogno invece di spartire i campi in modo netto: nessuna confusione tra i sessi, nessuna ambivalenza, nessuna identificazione o integrazione reciproca. Il dualismo sessuale viene interpretato solo sulla base del dominio storico dell’uomo (imposizione di un privilegio), quindi liberato dalla contraddittorietà delle figure di genere (il maschile e il femminile parlano anche il linguaggio dell’amore, della seduzione, della tenerezza), o, viceversa, sulla base di differenze fisiologiche.

In mezzo, tra biologia e storia, il vuoto. Tra una sponda e l’altra viene meno tutta la tessitura della vita psichica, che si rivela invece quando andiamo a leggere dentro le storie personali. E’ nella vita dei singoli, infatti, che possiamo trovare questo intreccio, queste connessioni indistinguibili fra l’eredità biologica e la vita psichica, la cultura e la storia che vi sono cresciute sopra e che hanno ovviamente influito sull’interiorità.”

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La rivoluzione che viene dagli archivi

Un documento scritto dal gruppo femminista “Il cerchio spezzato” dell’Università di Trento, nel 1971, portava come titolo “Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna”, e si apriva con una lucida messa in discussione del movimento studentesco e dei successivi gruppi politici, cominciando dalla modalità con cui si tenevano le assemblee.

“I gruppi di lavoro politici hanno riverificato la nostra sistematica subordinazione…L’analisi delle assemblee ci ha portato a vedere una élite di leaders, una serie di quadri intermedi maschili e una massa amorfa composta dal resto maschile e da tutte le donne”.

“L’attribuzione alla donna e all’uomo di un determinato ruolo è del tutto essenziale, sia al funzionamento materiale del meccanismo capitalistico (proprietà privata) sia al suo sistema di valori. Questo sistema di valori è cresciuto come esaltazione dello spirito di impresa, come gusto e culto della violenza e della forza, come supremazia del ‘maschile’ che ha bisogno, come si è visto di trovare in una concezione del ‘femminile’ la sua legittimità e la sua fondazione stessa. Un’azione nella sfera privata, a nostro avviso, è dunque strategicamente fondamentale per dare concretezza alla rivoluzione culturale, per cambiare cioè profondamente l’uomo. La famiglia è uno dei primi obiettivi di lotta. La personalità dell’individuo è infatti innanzitutto la storia dei suo adattamento ai modelli e ai valori culturali della società in cui vive. Fin dalla nascita l’esempio, le credenze, le abitudini degli altri membri della comunità plasmano la sua esperienza ed il suo comportamento. E la famiglia in particolare è organizzata in modo da rendere possibile la socializzazione attraverso l’esempio e la coercizione dei membri in ruoli ben definiti…La nostra cultura basa tutti i suoi ruoli sociali sul rapporto di potere perpetuato dalla famiglia e fa dell’appartenenza a un sesso piuttosto che all’altro il simbolo primario, esemplificativo, di tale rapporto.” (Manifesto del Gruppo Demau, Milano 1966/67).

. E’ vero che recentemente si è tornato a parlare di famiglia, ma lo si è fatto a proposito delle ‘unioni di fatto’, come richiesta di leggi, riconoscimento di diritti civili, e solo marginalmente come messa in discussione di quel concetto di ‘naturalità’del matrimonio che cristallizza, nella nostra Costituzione, sia il compito primario di riproduttrice della donna -e quindi la divisione sessuale del lavoro-, sia la normatività della coppia eterosessuale.
Politiche sociali e politiche famigliari ancora si muovono sull’equivoco che la ‘conciliazione’ di casa e lavoro extradomestico sia un problema ‘femminile’, come se la maternità fosse una malattia particolare che ha bisogno di tutela, e il lavoro domestico, il lavoro di cura prestato a bambini, anziani, ma anche mariti, padri, fratelli in perfetta salute, la ‘naturale’ disposizione femminile, a cui si richiama insistentemente la Chiesa.

“E’ dalla famiglia, in particolare dal lavoro gratuito delle donne, che i detentori di potere economico ricavano enormi profitti risparmiando servizi sociali e sfruttando due lavoratori con un solo salario: l’operaio e sua moglie…le ore lavorative per le donne, oltre alle prestazioni domestiche, hanno anche il ‘privilegio’ del lavoro extradomestico. Nessun operaio lavora altrettanto. Inoltre, l’operaio è pagato, la casalinga no. L’operaio può scioperare, la casalinga no…Ma soprattutto, questa famiglia nucleare è la cinghia di trasmissione dell’oppressione sociale da una generazione all’altra. La condizione subalterna della donna si perpetua infatti attraverso la famiglia che prima inculca nelle bambine la pseudo-vocazione di casalinghe e di madri, e poi sospinge le ragazze alla ricerca di un marito e infine inchioda le donne adulte al ruolo di fornitrici non retribuite di servizi…La famiglia è in realtà il centro dove le frustrazioni dei coniugi si scontrano e si proiettano sui figli, produce individui prepotenti con i deboli e remissivi con i forti, incapaci di ribellioni razionali…Questo tipo di famiglia va demolito.” (Fronte Italiano di Liberazione Femminile, 1970).

(Stralci da un articolo pubblicato su “Liberazione”, 5/12/2007)

‘Il patriarca lascia il posto all’uomo femmina…

…ma è una partita tra maschi’

Dalle testimonianze e dalle inchieste che si vanno moltiplicando sulle esperienze di leadership femminile, emerge con chiarezza che è proprio la convergenza tra una crisi di sistema alla ricerca di nuove “risorse” e la tentazione mai tramontata nell’aspettativa di cittadinanza completa delle donne di vedere riconosciuto il “valore imprescindibile” della loro differenza, a ricomporre fuori dall’ambito domestico il sogno di armonia che è stato finora della coppia degli innamorati. Viene il sospetto che la civiltà che abbiamo ereditato non abbia mai smesso di attingere, materialmente e simbolicamente, alle “risorse” che ha confinato fuori dalla polis, perché restassero immobili, eternamente uguali come le leggi di natura. 

Troppo spesso si dimentica che le figure della differenza di genere, nella loro gerarchia e complementarità, strutturano rapporti di potere ma conservano anche il desiderio primordiale di un ideale ricongiungimento, la promessa del ritorno all’unità a due della nascita: fare di due nature diverse un solo essere armonioso. È questa “essenza di Eros”, l’amore nella sua forma originaria, che attraverso l’oblatività femminile, la dedizione alla cura dell’altro, mantiene la famiglia e per estensione la società stessa dentro vincoli di un’infantilizzazione tenera e violenta, dipendenze e prestazioni “ancillari” coperte da illusioni salvifiche?

Articolo pubblicato il 24 aprile 2016 su Corriere.it