Non si può liquidare come trionfo del narcisismo un fenomeno che sta abbattendo tante barriere –pudore, riservatezza, vergogna, banalità, insignificanza, ecc.-, che muove un arco imprevedibile di sentimenti, pensieri, fantasie, desideri, sogni, che gioca sulla dipendenza e la seduzione, sul bisogno di affetto e di condivisione.
Chi è invitato a consegnare i suoi pensieri a una pagina solitaria e al medesimo tempo visitata da molteplici possibili sguardi, si muove come un funambolo tra sponde opposte, ma oggi inseparabili: da una parte, l’amore di sé che cerca, come agli inizi della vita, conferme esistenziali e affettive, dall’altra una società che sembra aver perso lo spazio intermediario della famiglia, per cui potrebbe riprodurla, ma anche volerne sperimentare l’assenza.
Una corda tesa tra sé e sé, tra sé e mondo, una sospensione del già noto che non rinuncia tuttavia a mettere in campo, con una libertà finora sconosciuta, quello che c’è di più quotidiano, intimo e particolare in ogni singola vita. Se, come dicono le statistiche, sono soprattutto le donne che fanno uso dei social network, bisogna ammettere che un grande passo avanti è stato fatto da quando una pagina di diario finiva in un cassetto, preziosa e, contemporaneamente, destinata a perdersi come i sogni.
Non dovremmo meravigliarci se il bisogno di pensarsi come individualità concreta, restituita all’interezza del proprio essere, si manifesta come “ripresa” di un sé intento a ricostruire la propria immagine attraverso quello “specchio digitale”che, al medesimo tempo, lo isola e lo espone al mondo.
Il rischio che l’immagine prenda il sopravvento e che la libertà vada a coincidere paradossalmente con una “nuova schiavitù”, quale è la “costrizione a comunicare”, in effetti c’è.
Ma nessuna acquisizione nuova della coscienza, nessuno svelamento di un “rimosso” storico, può considerarsi indenne da limiti, ripiegamenti o sconfitte. Per questo l’attenzione alla strada che si sta percorrendo non è mai troppa, e gli “apocalittici” sono, da questo punto di vista, un prezioso indicatore di marcia
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di Sotirios Pastakas
Πίτσα, ίντερνετ,
πράσινες μπύρες.
Μετρώ τα λάικ
στο φέισμπουκ.
Με 4.798 φίλους
μόνος μου να τρώω
κάθε βράδυ.
Pizza, internet
green beers.
I count the likes
on face-book.
With 4,798 friends
and here I am eating alone
every night.
(Ροή Ρακής, Flow of raki)
Παστάκας, Σ. (2014), Συσσίτιο, Forepaw Press, σελ. 85 / Pastakas, S.(2014), Food line, Forepaw Press, p. 85
Ma l’autocoscienza non viaggia su internet
Ringrazio Maria Morganti per aver rintracciato attraverso
Internet la lettera che sua madre e mia amica, Mia Mendini Morganti, ha inviato alla mia rubrica di posta sul
Quotidiano L’Unità –L’una e l’altro- l’8 maggio 1997.
La riprendo volentieri, tanto più che contiene interrogativi per me ancora attuali.
Cara Lea,
io penso che l’«autocoscienza», la
comprensione di sé che si acquista
nel narrarsi di fronte ad altre donne,
renda possibile circolarità di
sapere e quindi migliori rapporti
umani. Non credi che Internet
non solo possa garantire per la
donna maggior scambio di conoscenza,
ma anche favorire in futuro un dialogo tra più donne,
non separate dalla distanza e dalla lentezza delle
comunicazioni? Insomma,
un’«autocoscienza in rete?”
Mia Mendini Morganti
Cara Mia,
le mie conoscenze in fatto di tecnologie avanzate sono molto scarse e
non escludo di essermi portata dietro
negli anni la diffidenza contadina
per qualsiasi forma di artificio,che
venga a interrompere un ritmo naturale.
Ma penso anche che sia una malintesa idea di progresso quella che
vede dietro la comparsa di nuovi
mezzi comunicativi farsi il deserto di
tutte le strade precedentemente conosciute.
Nessuna tastiera,nessuna
videoscrittura potrà sostituire il viaggio che fa la mano su un quaderno.
Ci sono poi esperienze particolari,che
non si lasciano facilmente omologare e che,
tradotte in un diverso ordine
di segni,diventano irriconoscibili.
Tale è sicuramente l’«autocoscienza»
che,nata come«pratica politica»del
femminismo negli anni‘70,ha continuato a essere nella storia individuale e collettiva delle donne la relazione più feconda di sapere e cambiamenti.
Le occasioni per«raccontarsi»
non sono di certo mancate al sesso
che ha conosciuto un così lungo esilio dalla vita pubblica,
e la lingua delle madri è parsa risuonare in tutti gli
alfabeti dell’uomo. Ma, affinché ci si
potesse riconoscere nelle parole della
propria simile, è stato necessario che i
corpi tornassero a incontrarsi senza
l’asservimento inconsapevole a un
destino,e che,in assenza dell’uomo,
parlassero per lui le infinite tracce che
il suo desiderio ha lasciato nei volti,
nei gesti,nelle voci femminili. Per
questo la fisicità risulta indispensabile e nessun mezzo per quanto tecnicamente elaborato può pensare di riprodurne gli effetti.
Un mondo virtuale,
dove passano costellazioni di
nuovi segni, potrà forse apparire un
traguardo insperato per una civiltà
che teme,sopra ogni cosa,le condizioni naturali del vivere,
ma per la
donna che ha dovuto muoversi da
sempre dentro lingue e immagini costruite da altri,
rischia di essere la maschera sofisticata di un’antica sorte.
Moltiplicare i messaggi e intensificarne la frequenza non potrà in ogni caso risarcire chi ha visto i suoi pensieri
perdersi dentro i movimenti obbligati di un tempo biologico,
o scostarsene per un’inspiegabile ostilità.
Forse,
mi piace semplicemente pensare
che,a sensi esaltati quasi solo dal sogno e dalle attese,
si facciano incontro paesaggi meno evanescenti,
strade di terra e volti riconoscibili.
Come
nella mitica «caverna» di Platone,
non è la quantità di ombre riflesse
sulla parete che può salvare il prigioniero,
ma che l’accerchiamento si
rompa e ci si avvii verso l’uscita. La solitudine,
lamentata spesso dalle donne,
prima che vuoto d’amore e paura
di abbandoni,è il sentimento doloroso con cui si misura la distanza da se
stesse,l’incapacità a distinguere,nel
proprio organismo e nella massa disordinata di emozioni che lo attraversano,
percezioni reali e deformazioni immaginarie.
È in questo scarto
tra sé e sé che lo sguardo di un’altra
donna può scoprire zone di inconsapevolezza.
Può una rete telematica
tenere conto allo stesso modo della
contraddittorietà dell’esperienza del
singolo e dei cambiamenti imprevedibili che possono nascere dal rapporto con gli altri,
quando siano
ugualmente implicati corpo e pensiero?
Il potenziamento dei mezzi di
comunicazione e la rapidità con cui si
procede euforicamente verso la riduzione dei limiti imposti dallo spazio e
dal tempo, convivono purtroppo
con i modelli primi,originari di ogni
legame sociale, forme arcaiche, mai
abbastanza indagate, di cui sembrano essere a volte soltanto la faccia
stravolta, o l’inevitabile contrappeso.
I social stanno divorando le nostre vite?
Un’interessante analisi di Anna Stiede sui limiti di una cura (di sè) che trova un “appagamento individuale e privatizzato” attraverso i social network.
“Mentre nel “mondo analogo” la socialità collettiva si disfa e mentre assistiamo al declino del mutuo soccorso, della cura, dell’assistenza e della formazione, evidentemente nei nuovi mondi digitali gli individui ritrovano una nuova forma di socialità e di legami. Le lacune della vita offline vengono dunque riempite su Facebook e Instagram. Qui le persone riconquistano una sorta di appagamento estemporaneo dei propri desideri: le emozioni possono venire condivise con il mondo intero, il bisogno di buon cibo o di un servizio di pulizie a basso costo viene appagato attraverso delle app. Nello stress della quotidianità tutto viene così rimesso in ordine senza difficoltà, attraverso il proprio smartphone.”
Articolo di Anna Stiede apparso su Effimera il 28.IX.2016, per leggerlo tutto clicca qui.
Il tempo virtuale, un battito di ciglia
Articolo pubblicato il 3 ottobre 2016 su Comune-info.net
“Tra il “tempo freccia” della vita sociale e il “tempo tartaruga” che ha radici nei ritmi biologici e psichici di ogni individuo, passa l’incantesimo del “qui” e “ora” di una comunicazione che sembra svincolata da luoghi e persone concrete. Il senso di leggerezza che si prova nell’ ‘intimità’ virtuale dei ‘contatti’ telematici nasce dall’assenza di qualunque tipo di attrito: dalla rugosità della carta da lettera, all’impatto sensoriale col corpo di chi ci sta davanti. Lo schermo stesso del computer si fa trasparente, sottile e impercettibile per i segni che vi scorrono sopra, veloci come i pensieri, e, come i pensieri, pronti a sparire e ricomparire in un battito di ciglia.”
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