Festeggiamenti per l’anniversario del trentennale della LUD (1987-2017)

Se trent’anni vi sembrano pochi…

Al centro e condivisa c’è sempre stata la nostra “autonomia”, la volontà di costruire un sapere e un linguaggio liberi da gerarchie e norme precostituite, il desiderio di ricollocare il pensiero dentro la storia del corpo.
Questo ha voluto dire assumere il “partire da sé”, la pratica dell’autocoscienza nelle sue implicazioni più profonde, come punto di vista da cui interrogare i saperi, i poteri, le istituzioni della vita pubblica.

“Una geografia
non una genealogia
paesaggi inquinati
ma dove può nascere
movimento e libertà”.

( “Lapis. Percorsi della riflessione femminile”)
1987-1997)

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Il femminismo, la sua storia

“Una geografia non una genealogia, paesaggi inquinati ma dove può nascere movimento e libertà” (“Lapis”, 1987-1997)
Pensare alla trasmissione del sapere femminista in termini generazionali, significa -come dice giustamente Judith Butler- riportarli dentro una struttura famigliare di madri e figlie:
“Dobbiamo chiederci se pensare alle differenze generazionali in questi termini sia il modo migliore per farlo, dal momento che alcune donne non sono madri, non vogliono esserlo, ma fanno parte del femminismo e questa loro scelta è protetta dal femminismo stesso. Altre femministe, invece, hanno avuto figli ma il loro femminismo non si basa sul fatto che siano madri -è successo loro di diventare madri, ma non per questo portano avanti un femminismo materno.
E alcune delle più giovani possono benissimo presentarsi non come “figlie” delle generazioni più anziane ma come “studentesse”, ad esempio, o come parte di una relazione complessa in cui imparano da loro, resistono loro, o addirittura si distanziano da loro.
La metafora famigliare mi preoccupa perché il femminismo deve pensarsi anche al di là dei termini della famiglia, per cogliere le nuove forme di intimità, le nuove reti di alleanze e i cambiamenti che sono avvenuti nell’idea della parentela e nei ruoli genitoriali.
A dire la verità, aspetto con ansia un pensiero sulle nuove forme di parentela che non siano solo quelle tra madri e figlie.
Le donne devono esistere in spazi e in relazioni che non siano completamente circoscritte dalla famiglia. Questa è la libertà delle donne. Se ricorriamo alla struttura famigliare per comprendere i legami tra donne ricostruiamo la famiglia come luogo proprio delle donne.”
(da “Il genere tra neoliberismo e neo fondamentalismo”, a cura di Federico Zappino, Ombre corte 2016)
Nella video intervista di Federica Mazzotta Di Pietro: con Alessandra Ghimenti

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Rossana Rossanda e Lea Melandri, da ”Lapis”

“… E mi pare senza senso rivendicare come una conquista l’orizzonte limitato che ci è stato imposto ». Davvero parla solo alle donne, la riflessione ininterrotta di Rossana Rossanda – qui in dialogo con Lea Melandri, in testi che andrebbero letti, o letti in nuova luce, oggi? Davvero “noi” uomini non ci sentiamo perlomeno in costante disagio, dopo avere occupato tutto lo spazio, e continuando imperterriti ad occuparlo, in buona sostanza?

Rossana Rossanda, “Il profondo e la storia”
(da “Lapis”, n.7 – marzo 1990)

Frammenti di un dialogo mai interrotto

“Da molte donne mi viene detto amichevolmente che no, perché corro nel tempo e nello spazio degli uomini, senza interrogarmi sull’essenziale che sarebbe il ritrovare -come dopo un lungo letargo in parte mortale in parte creativo- l’essere donna, la coscienza, l’identità, l’autonomia femminile. Lea mi ricorda che questo cercarsi è politico, ed è vero: e anche che se si fa questo non si può far altro (altro che per Lea esiste e pesa) perché tale ricerca impegna tutte le energie intellettuali ed esige un difficile distinguo fra quel che è femminile e quel che è stato introiettato come tale, ma non è -nel senso che è stato sovrapposto dall’esterno.
(…)
Qualche mese fa volevo tentare una riflessione su questi due o tre livelli dell’esperienza, tempi e spazi, dimensioni dell’essere femminile che, con Lea, credo una variante del rapporto non solo femminile dell’io al mondo. Volevo tentare di provare che la ricerca su di sè, è costretta a muoversi su due piani, il profondo e la storia perché anche gli archetipi e i simboli si formano in questo duplice livello, per cui l’identità continuamente urta, ma si alimenta del provarsi sul mondo. Anzi, diciamo la verità. Io penso che senza questo la ricerca riproduce l’illusione che siamo “fuori dalla storia”, mentre nessuno vi è fuori, ma molti e quasi tutte le donne sono stati messi fuori dai “luoghi di decisione della storia”. E’ diverso. E mi pare senza senso rivendicare come una conquista l’orizzonte limitato che ci è stato imposto.
(…)
L’autonomia femminile mi è parsa dunque non un ritiro in sé ma un intervento su quel che avviene mentre avviene, da un punto di vista diverso, ma deciso e ormai irriducibile al silenzio.”

L’immaginario della dualità

Virginia Woolf, Silvia Plath, Amelia Rosselli, Inge Muller…
Quanto è costata alle donne “la creatività di spirito invece che di carne”?
(Sibilla Aleramo)
“Ti dissi che tutto il poco che una donna riesce a realizzare nel campo della poesia è il risultato di una tensione infinitamente più tremenda della tensione virile; ti dissi quanto immolatrice sia colei che tenta creazioni di spirito invece che di sangue.”
(…)
“Questa mia sotterranea, seconda vita…Questa corrente tacita di pensieri e di sentimenti…è questa che lui vorrebbe io traducessi in poesia, violentandomi, disumanandomi, forse uccidendomi? Questo lui fa sopra di sè, ma lui è uomo, e non ne muore…”
(Paola Redaelli, “Tra Scilla e Cariddi”, in “Lapis” n.30, giugno 1996)
“Ma se lo scrittore è donna?Scoprirà, prima o poi, di sentirsi ombra, che quello di sentirsi ombra è uno dei suoi segreti. Dovrà scrutare in quest’ombra che può nascondere l’abisso, il vuoto oppure un magma, un crogiuolo di presenze spaventose e apparentemente inconoscibili. E scriverne.
(…)
Nell’ombra c’è dunque il corpo femminile, con tutte le connotazioni fantastiche e simboliche che questo nome e questo aggettivo portano su di sé. Queste connotazioni sono tali per cui noi spesso non sentiamo, non ci rappresentiamo il corpo femminile come nostro, ma come qualcosa che è in noi e costantemente ci minaccia di diventare noi stesse, tutta la nostra identità. Fuori dall’ombra c’è invece la parola scritta, quella che ci difende, perché ‘ci crea’, dalle fastidiose parole corpo femminile che per tradizione farebbero parte del novero di quelle che si possono anche soltanto dire.”
La poetessa americana Hilda Doolittle, nota come H.D., nelle sue Note sul pensiero e la visione , scrive:
“Dobbiamo ‘innamorarci ‘ prima di poter afferrare i misteri della visione […] Le menti dei due innamorati si compenetrano […] Il cervello, ispirato ed esaltato da questo interscambio di idee assume il carattere di super-mente… ”
La via d’accesso all'”estasi” o alla “visione” è anche qui il corpo, un corpo fecondato dall’unione d’amore, perché possa farsi luogo di una nascita spirituale che lo trascende e lo consuma.
“Il corpo appariva una forma di vita elementare, priva di bellezza e transitoria. Tuttavia ancora una volta mi avvidi di come il corpo avesse la sua funzione. L’ostrica produce la perla infatti. Così il corpo, con tutte le sue emozioni e paure e sofferenze consumate nel tempo produce lo spirito […]. Immagino, tuttavia, che il corpo, come un pezzo di carbone, adempia alla sua funzione più alta quando si consuma “.
Anche quando si tratta di realizzare “opere di anima” e non “di carne”, il riferimento obbligato sembra essere la maternità biologica, quel “pertinace naturalismo”, quella “aderenza alla vita” che Boccioni rimproverava all’Aleramo, e che l’uomo ha soltanto risolto altrimenti: separandosene, riducendola al silenzio a rigo immaginario su cui intonare la propria parola.
Ma per la donna, che con quella matrice è stata identificata, il processo creativo del pensiero rischia di trasformarsi in “pellegrinaggio mistico”: un corpo che “rappresenta”,mentre la agisce, la sua consunzione e la sua trasfigurazione.
Il dualismo in tutte le sue forme -a partire da quello che ha segnato il destino dell’uomo e della donna – è stato finora il fondamento di tutte le civiltà, inscritto nella vita sociale ma anche “nell’oscurità dei corpi”, come dice Pierre Bourdieu. Finché si resta dentro queste polarità complementari, è chiaro che si può solo tentare una ricomposizione, che, non a caso, avviene sempre sul popolo maschile. Tale è la “mente androgina”, come mente creativa, di cui parla Virginia Woolf. L’esempio che fa è, non a caso, è quello di Shakespeare. Per ritrovare mente e corpo nel loro naturale essere inscindibile, occorre pertanto uscire dell’immaginario della dualità, che abbiamo ereditato e che ancora condizionata il nostro modo di pensare e di sentire.13418898_1777695312466389_2152427091482708103_n

Una lucida follia

Stralci di un percorso personale e politico
La centralità che ha avuto il tema dell’amore nel mio percorso intellettuale e politico all’interno del movimento delle donne -in modo abbastanza solitario- è dovuta, almeno in parte, a un tratto romantico, sentimentale, che viene da qualche zona remota della mia storia personale. Più precisamente, si tratta di una singolare commistione di sogno e lucidità di analisi che ho ritrovato in Sibilla Aleramo e che ho cercato di analizzare nel mio libro Come nasce il sogno d’amore .
Ma c’è anche la spinta, radicata anch’essa nel mio passato, a tenere fermo lo sguardo su quella zona ancora oscura ed enigmatica che è l’origine, la preistoria dell’individuo e della specie.
Partire dalla memoria del corpo –dai sedimenti profondi della vita psichica- per interrogare il rapporto tra i sessi, vuol dire riconoscere che il dominio maschile non nasce da una volontà malvagia dell’uomo, o da una sua ‘naturale’ pulsione di morte, ma da passaggi inconsapevoli di necessità che riguardano lo sviluppo della specie umana, il passaggio dalla natura alla cultura.
Per tornare al percorso autobiografico che sta dietro ogni teorizzazione, anche la più astratta, devo dire che la centralità che ho dato alle tematiche del corpo è strettamente legata alla mia origine: figlia femmina di famiglia contadina che ha avuto il singolare privilegio di poter studiare. Il dualismo corpo-pensiero, natura-cultura, femminile-maschile, era nella mia condizione di partenza, e ha reso particolarmente lento, difficile, contrastato, il processo di emancipazione tradizionalmente inteso. Ho sentito a lungo estranea la vita pubblica, i suoi linguaggi, i suoi saperi, le sue istituzioni, mentre è stato molto forte il legame con la cultura e i linguaggi dell’uomo-figlio: filosofia, religione, arte.
Nel momento in cui avrei potuto “emanciparmi”, dopo la fuga dal paese d’origine e l’arrivo a Milano, ho incontrato, per mia felice sorte, il movimento non autoritario del ’68 nella scuola e il femminismo, che partivano proprio dal corpo, dalla vita personale, dalla sessualità, per mettere in discussione l’ordine esistente, la divisione tra pubblico e privato, la relazione tra i sessi.
Ho cominciato allora a rendermi conto che quello che nei miei studi liceali era rimasto il “fuori tema” –una materia di esperienza dolorosa e intraducibile nelle lingue colte- poteva, nella prospettiva di una profonda rivoluzione culturale, diventare “il tema”. Nello stesso tempo, cominciavo a riflettere sui nessi, i legami che ci sono sempre stati, tra un polo e l’altro del dualismo, sulle implicazioni inconsapevoli che la dualità, come costruzione maschile, aveva con l’interiorizzazione da parte delle donne di un’unica visione del mondo.
Ricerca di nessi voleva dire per me, da un lato continuare a scavare a fondo nel vissuto corporeo, psichico, intellettuale del singolo -autocoscienza, scrittura di esperienza-, dall’altro, partendo da questo sguardo e da questa lenta modificazione di sé , intesa come autonomia da pregiudizi, habitus mentali, schemi cognitivi incorporati, affrontare i saperi e i poteri della vita pubblica.
Ho cominciato a farlo dagli anni ’70, individualmente e collettivamente -dal gruppo “sessualità e scrittura”, ai corsi della donne, alla rivista “Lapis. Percorsi della riflessione femminile”-, ma in modo ancora libresco o filtrato dai saperi disciplinari che mi erano famigliari, come la letteratura, la filosofia, la psicanalisi.
Gli anni ’80 hanno rappresentato, per quanto mi riguarda, l’inizio di una riflessione e di una scrittura più specificamente legata ai temi dell’immaginario amoroso: rubriche di “posta del cuore”, “scrittura di esperienza”, analisi del “sogno d’amore”.
Nel momento in cui prevaleva nel femminismo l’orgoglio dell’appartenenza di sesso, la voglia di “vivere con agio”, l’affermazione della fine del patriarcato, occuparsi del sogno d’amore -dal libro che stavo scrivendo alle rubriche di posta del cuore su “Ragazza In” e su “Noi donne”- fu visto da alcune come un tornare sulla “miseria femminile”. Per me ha voluto dire invece riprendere e approfondire l’intuizione originale del femminismo: il dualismo sessuale, la consapevolezza che le figure di genere non hanno dato forma solo a rapporti e gerarchie di potere tra uomini e donne, ma, come conseguenza della complementarità, anche all’amore tra i sessi, al sogno di ricongiungimento di “nature”diverse, e all’ideale di interezza dell’individuo.
Finché il maschile e il femminile sono visti come poli complementari, come se fossero le due metà di un intero, c’è nell’amore una “terribile necessità”.
Come spiegare altrimenti un’interiorizzazione della visione maschile del mondo così duratura? Come spiegare una subalternità così evidente delle donne nella vita pubblica, l’emancipazione come assimilazione al neutro? La difficoltà è pensare l’interezza del proprio essere fuori dall’ideale androgino, di cui parla Virginia Woolf.
La complementarità è ingannevole, ma esercita ancora una grande attrazione: basta pensare al protagonismo che hanno preso le due grandi attrattive delle femminilità nelle sfera pubblica: la maternità e la seduzione. Il processo di autonomia dai modelli interiorizzati ha ancora molta strada da fare. Ma, soprattutto, interessa uomini e donne, interroga la femminilità come la maschilità.

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