“Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità” di Antonio Prete

Elogio della lettura

“La lettura è un ascolto silenzioso. Ed è uno degli esercizi consigliati nelle diverse varianti antiche e moderne, della cura di sé Ciascuno può riandare al tempo e al luogo in cui per lui è accaduto il passaggio dell’apprendimento del leggere all’atto dello sfogliare le pagine di un libro inseguendo il farsi di una storia.
(…)
Leggere è legare lettere tra di loro, e allo stesso tempo trasformare la frase in immagine, in paesaggio, in situazione. Profumi, colori, sapori sono percepiti quasi fisicamente: tutto vive dinanzi a noi mentre leggiamo. Un mondo accade. Leggere è fare esperienza del tempo, della sua estensione: mentre leggiamo, il tempo sembra perdere la sua prima amara qualità, che è quella di essere irreversibile, e infatti quel che è scomparso riappare, quel che più non c’è torna a vivere, e persino ciòche non è mai accaduto, e ciò che non potrà mai accadere ha una presenza, una sua vita.
(…)
Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero. Esercizio più che mai necessario nella nostra epoca: controla dissipazione e la distrazione. Contro la spettacolarizzazione. Il tempo del leggere è custodia dell’interiorita’. O anche, persino, riscoperta della propria interiorità.”

(Antonio Prete;m, “Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorita’” Bollati Boringhieri 2016)

Psicanalisi e femminismo: alla ricerca di nessi

“Il femminile e il dualismo sessuale tendono a essere visti –negli studi di genere- solo come costruzione del pensiero e della volontà di potere dell’uomo, strumenti ideologici per giustificare il suo dominio, e non, come si potrebbe ipotizzare, prima di tutto rappresentazioni psichiche profonde dei desideri, delle paure, dei sogni che si formano intorno all’esperienza della nascita. Se oggi è difficile scindere interiorità e storia, ciò non significa che si possano appiattire l’una sull’altra, anziché coglierne i nessi.
La riduzione al fattore culturale –storia, linguaggio, ec.- di un processo che tocca zone di inconsapevolezza (la vicenda originaria della specie e di ogni singolo), nell’uomo come nella donna, fa sparire l’interesse per la vita psichica, per il rapporto inconscio-coscienza, e quindi anche per il contributo dato dalla psicanalisi alla comprensione dei movimenti sotterranei che hanno dato forma allo sviluppo degli individui e della civiltà”.
“Altro effetto di riduzione e semplificazione è quello che vede il potere dell’uomo solo come potere del padre e, di riflesso, l’alleanza possibile tra la madre e il figlio, tra la donna e il giovane, entrambi vittime dell’autorità paterna. Si può pensare invece che la comunità storica degli uomini sia l’esito (e poi la causa) di quel processo di differenziazione che vede ogni volta il figlio staccarsi con sentimenti opposti, di amore e di odio, desiderio e paura, dal corpo che l’ha generato.
L’immagine di un corpo femminile che dà la vita ma che può anche soffocarla, non è solo l’effetto della cultura dell’uomo; non è difficile ipotizzare che sia legata anche all’esperienza dell’inermità iniziale di ogni nato, e dell’essere stato tutt’uno con il corpo materno.”
“Per abbandonare l’identificazione con l’uomo (col suo desiderio, col suo piacere) è necessario analizzare la complessità della vita psichica, le fantasie, i sentimenti che hanno permesso la confusione tra piacere e sofferenza, tra piacere proprio e piacere dell’altro. Se si tiene conto che il dominio maschile emerge dalla zona di inconsapevolezza che avvolge vicende come la nascita e l’uscita da una condizione di animalità, che come tali riguardano entrambi i sessi, risulta semplificante liquidare come ‘schiavitù’ il ‘coinvolgimento emotivo’ della donna, la sua ‘capacità di accordarsi e favorire’ il desiderio altrui.
La ricerca di ‘differenze’ già date e di ‘autenticità’ ha bisogno invece di spartire i campi in modo netto: nessuna confusione tra i sessi, nessuna ambivalenza, nessuna identificazione o integrazione reciproca. Il dualismo sessuale viene interpretato solo sulla base del dominio storico dell’uomo (imposizione di un privilegio), quindi liberato dalla contraddittorietà delle figure di genere (il maschile e il femminile parlano anche il linguaggio dell’amore, della seduzione, della tenerezza), o, viceversa, sulla base di differenze fisiologiche. In mezzo, tra biologia e storia, il vuoto.
Tra una sponda e l’altra viene meno tutta la tessitura della vita psichica, che si rivela invece quando andiamo a leggere dentro le storie personali.
E’ nella vita dei singoli, infatti, che possiamo trovare questo intreccio, queste connessioni indistinguibili fra l’eredità biologica e la vita psichica, la cultura e la storia che vi sono cresciute sopra e che hanno ovviamente influito sull’interiorità.”
(da L.M., “Una visceralità indicibile. La pratica dell’inconscio nel movimento delle donne”, Fondazione Badaracco-Franco Angeli 2000)

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C’è di che preoccuparsi…

C’è di che preoccuparsi…
“E’ un messaggio rivolto a tutti, ma forse c’è un terzo messaggio rivolto ad alcuni. Può essere una coincidenza, ma in molte delle scuole, anzi delle classi perquisite c’erano studenti appartenenti ai collettivi studenteschi. Se non è solo una coincidenza, allora il terzo messaggio è questo: vi controlliamo tutti, ma in particolare teniamo d’occhio voi che fate politica, voi dei collettivi, voi che vi definite comunisti o anarchici; rientrate nei ranghi, che è meglio per voi. E lei, professore, torni pure a parlare di Martin Heidegger. Non è successo niente”.

Testo completo

Quella che segue è la lettera di Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e scienze umane al Liceo “Piccolomini” Siena
“Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nella mia classe quinta, mentre stavamo parlando di Martin Heidegger. Irruzione è un termine forte, ma esatto in questo caso: nessuno ha bussato e chiesto il permesso. Hanno svolto un controllo antidroga facendo passare tra i banchi un pastore tedesco, poi sono andati via. A mani vuote, come si dice.Non è la prima volta che succede, naturalmente, anche se è la prima volta che succede a me. E’ successo, qualche giorno fa, al liceo Virgilio di Roma, e la cosa è finita sui quotidiani nazionali, perché il Virgilio è un liceo molto ben frequentato. E’ successo qualche giorno prima al Laura Bassi di Bologna, anche lì con molte polemiche. E’ successo e succede quotidianamente in decine di istituti tecnici e professionali, che fanno poco notizia perché non sono così ben frequentati come il liceo Virgilio di Roma. E due anni fa, a Terni, un docente è stato sospeso dall’insegnamento per essersi opposto all’ingresso delle forze dell’ordine in classe.
Quelli che sono favorevoli a queste incursioni ragionano come segue: spacciare è un reato, e il reato è un male, e va perseguito; se uno è a posto, nulla ha da temere. Diamo per buono questo ragionamento, ed esaminiamone le conseguenze. Se è così, allora è cosa buona e giusta che le forze dell’ordine facciano irruzione nelle abitazioni private. Sarebbe un modo efficacissimo per combattere il crimine. Controlli a tappeto, a sorpresa, nelle case di tutti. Poliziotti, carabinieri, cani antidroga. In qualsiasi momento aspettatevi che qualcuno bussi alla vostra porta. Che un cane fiuti tra le vostre cose. Se siete a posto, non avete nulla da temere. E perché non estendere i controlli anche nei luoghi di culto? Sì, lo so, molti di voi stanno pensando alle moschee: e la cosa a molti non dispiacerebbe. Ma io penso alle chiese. Immaginate un’irruzione delle forze dell’ordine in una chiesa, durante un rito. I cani tra i banchi che annusano. Cinque minuti e tutto è finito. Se qualcuno ha della droga, lo si porta via. E amen, come si dice.Non vi piace l’idea? Perché? Perché nel primo caso si tratta di un luogo privato, nel secondo caso si tratta di un luogo sacro, direte. E la scuola che luogo è? Io che vi insegno, la considero al tempo stesso un luogo privato – una casa – ed un luogo sacro. Il più sacro dei luoghi, perché è quello in cui si formano gli uomini e le donne di domani. Ma, direte, la scuola è un luogo dello Stato, ed è bene che le forze dell’ordine dello Stato controllino un luogo dello Stato. E’ cosa loro, per così dire. Bene, concedo anche questo. Ed anche in questo caso, vediamo le conseguenze. Il Parlamento è un luogo dello Stato. E’ il luogo più importante dello Stato. E’ lo Stato. Che succederebbe se delle forze facessero irruzione in Parlamento con cani antidroga? Sarebbe una cosa sensatissima, perché in Parlamento si fanno leggi che riguardano la vita di tutti, ed è assolutamente vitale per la salute della nostra democrazia ed il futuro dello Stato che chi fa le leggi sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Eppure se succedesse una cosa del genere, sarebbe un grande scandalo politico. Perché? Per lesa maestà. Perché è umiliante per un senatore essere perquisito, annusato. Sospettato di essere un drogato, o peggio uno spacciatore.
E veniamo al dunque. Quando io vengo a casa tua – perché la scuola è la casa degli studenti – e ti sottopongo a perquisizione, io ti sto dando diversi messaggi. Il primo è che ti considero una persona poco raccomandabile. Non è una questione personale: può essere che tu sia a posto, ma è poco raccomandabile la categoria cui appartieni. Il fatto stesso che si facciano controlli antidroga è una conseguenza dell’infimo status degli adolescenti nella nostra società. E’ risaputo che l’alcol fa in Italia diverse migliaia di morti e causa tragedie terribili. Eppure la vendita di questa sostanza stupefacente pericolosissima è consentita. Lo Stato consente la vendita di alcolici, per giunta con il suo monopolio, mentre i Comuni promuovono apertamente il consumo di vino ed altri alcolici con apposite manifestazioni locali. Il consumo di alcolici è consentito perché è cosa da adulti. E’ una abitudine diffusa tra persone perbene, stimabili, con un buono status sociale. La droga, che fa meno morti dell’alcol, è invece roba da adolescenti, da ragazzetti, da soggetti con uno status marginale: dei minus habentes. E’ significativo che il consumo e lo spaccio di hashish e marijuana siano perseguiti con molto più zelo del consumo e dello spaccio di cocaina, una sostanza molto diffusa tra soggetti dotati di uno status anche considerevole, come professionisti e politici. Non è la sostanza stupefacente il problema. Se così fosse, l’alcol sarebbe proibito. Il problema è chi consuma, non cosa consuma.
Il secondo messaggio è che la scuola è un posto in cui non ti puoi sentire come a casa. Per quanto ti stimi poco, non verrei mai a perquisirti a casa, a meno che non abbia un mandato. Ma a scuola sì. A scuola ti tengo d’occhio. Rispondendo alle polemiche dei genitori per i controlli antidroga al liceo Laura Bassi di Bologna, il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha dichiarato:”trova ancora spazio l’arcaico convincimento ideologico che l’università e più in generale gli istituti scolastici godano di una sorta di extraterritorialità“. Nessuna extraterritorialità. Non siete a casa vostra, siete in un posto in cui possiamo entrare e uscire quando vogliamo. Possiamo perquisirvi, possiamo farvi annusare dai nostri cani. Siete sotto il nostro controllo. Del resto, non sono gli adolescenti di continuo sotto il controllo dei professori? Non sono di continuo osservati, richiamati, sanzionati se non si comportano come si deve? Ecco dunque il poliziotto ed il carabiniere che vengono a ribadire il concetto, nel caso in cui non fosse abbastanza chiaro. La scuola è un luogo in cui siete controllati e controllabili, perquisiti e perquisibili. Non è una casa della cultura e dell’educazione, come qualcuno potrebbe dire retoricamente. Non ha nulla di sacro. E’ una istituzione che raccoglie – concentra – dei minus habentes, e non è escluso che concentrarli per controllarli sia il suo scopo principale.
E’ un messaggio rivolto a tutti, ma forse c’è un terzo messaggio rivolto ad alcuni. Può essere una coincidenza, ma in molte delle scuole, anzi delle classi perquisite c’erano studenti appartenenti ai collettivi studenteschi. Se non è solo una coincidenza, allora il terzo messaggio è questo: vi controlliamo tutti, ma in particolare teniamo d’occhio voi che fate politica, voi dei collettivi, voi che vi definite comunisti o anarchici; rientrate nei ranghi, che è meglio per voi. E lei, professore, torni pure a parlare di Martin Heidegger. Non è successo niente”.
Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e scienze umane al Liceo “Piccolomini” Siena

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da ‘Come nasce il sogno d’amore’

“Se vuoi fare l’amore e sul tuo letto c’è una donna ammalata o un poeta, ti vergogni di averlo persino pensato.
Ma io ho gridato tanto che al risveglio mi è mancata la voce.
Per chi ha sostituito il pensiero alla vita ogni piccola scossa, anche notturna, può sembrare un terremoto.
E ciò che di giorno si teme, non si sa se è il pensiero perduto, o quel segno di vita.
Finché la vicinanza è solo sognata, non possiamo sapere se qualcuno ci è accanto e a quale distanza.”
(Da L.M., “Come nasce il sogno d’amore”, Rizzoli 1988, Bollati Boringhieri 2002)

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Pensiero e corpo: fine di un’inimicizia?

Se si è costretti a parlare di “confini” tra corpo e linguaggio è perché abbiamo ereditato una visione del modo dualistica: il corpo visto come “oggetto” da parte di un “soggetto conoscente”, una relazione ostile che si esprime in controllo, violazione e sfruttamento, ma che per questo non ha mai abbandonato la nostalgia per l’armoniosa riunificazione di ciò che la storia ha diviso.
Dal momento che le condizioni materiali del vivere sono state identificate col sesso femminile, è attraverso il corpo della donna che l’uomo è andato cercando per secoli il mistero della sua esistenza, del nascere e del morire, della passione amorosa e della sofferenza.
Scostandosi dall’“atto sacrificale” con cui si è affermato nelle civiltà esistenti il principio paterno − come principio spirituale che trascende le leggi della natura −, Franco Rella , nel suo libro “Ai confini del corpo” (Garzanti 2012), porta allo scoperto una contraddizione evidente: non si può parlare, scrivere del corpo, senza interrogarsi sul soggetto conoscente, in quanto soggetto incorporato, sessuato, senza riportare su di sé l’interrogativo: “E io? E io e il mio corpo?”.
Da questa domanda , che rivoluziona la visione del mondo mettendo il soggetto maschile nella posizione associata tradizionalmente alla donna, alla passività, alla vergogna dell’“essere guardato”, prende avvio un saggio “audace e innovativo”, sia nell’esplorazione dei territori “impresentabili” dell’esperienza umana, sia nella ricerca di forme di “scrittura critica”, dove si danno insieme inseparabili pensiero ed emozioni.
Le linee guida di un viaggio che si lascia aperte volutamente strade, sorprese, ripensamenti, sono dunque essenzialmente due: forzare i confini del corpo, varcare sempre nuove soglie per addentrarsi nel suo mistero e dare parola alle passioni che lo abitano, gioie e patimenti, e al medesimo tempo interrogarsi su come “scrivere il corpo” evitando che si riduca alle parole che ne parlano.
L’esito è una scrittura che si interroga costantemente su se stessa, che vuole mantenersi fedele a un Io incorporato, diventare corpo pensante, amalgama di ragione e sentimenti, una scrittura che, se da un lato insegue l’opportunità di una “trama”, si lascia poi felicemente attrarre dalla “logica del frammento”.
A prevalere sulla forma tradizionale del saggio è il “movimento erratico del pensiero” che come una “deriva morenica” si ingrossa via via che avanza, incorporando materiali eterogenei: letteratura, arte, filosofia, schegge narrative, frammenti di esperienza propria, eventi tecno-politici. La parola che tenta di avvicinarsi al “cuore di tenebra” della civiltà e di ogni individuo non può che essere una “parola vacillante”, un filo teso che in ogni istante può spezzarsi. È questa consapevolezza che, impedendo al singolare percorso di pensiero e di scrittura di Rella di fermarsi all’incontro di letteratura, arte e filosofia, gli permette di entrare in un terreno fatto di “ossessive iterazioni, note, aforismi, soprassalti della coscienza”.