‘Perché hanno paura di una sedicenne?’

Articolo di Ariel Gold e Taylor Morley:

“Mentre #Me Too Movement continua a costruire e a esaltare altre voci emarginate, la voce di Ahed non è riconosciuta quando lei dovrebbe essere riconosciuta come un pilastro del movimento. Ahed sta revocando il suo consenso alla brutale occupazione di Israele. Si rifiuta di dare il suo consenso alle forze israeliane che invadono la casa della sua famiglia in un ulteriore brutale, inutile attacco notturno. Affronta i suoi aggressori e resiste al violento sistema di potere che continua a perpetuare questo ciclo di violenza contro i Palestinesi. Nello stesso modo i sopravvissuti ad assalti sessuali e allo stupro vengono zittiti, si dubita di loro, sono biasimati per i crimini commessi contro di loro. Ahed sta affrontando la stessa reazione violenta da parte dei suoi aggressori. Israele sta “facendo gli straordinari” per screditare Ahed e cancellare la sua voce, con la speranza che le persone crederanno alle loro invenzioni invece che alla verità. È ora che le voci di #Me Too Movement chiedano la sua liberazione e aiutino a fare dei parallelismi.”

Per leggere l’articolo completo, pubblicato su Comune-info.net il 2 gennaio 2018, clicca qui

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Facciamola finita col Cuore e la Politica

Repetita

Quando il cuore e la politica perderanno la maiuscola,
nessuno si meraviglierà se vede crescere giardini in mezzo ai casermoni urbani
e donne costruire palazzi
di città sconosciute.

“Se hanno dovuto faticosamente, tra mille inganni e ostacoli, “prendere coscienza” di un’oppressione, peraltro evidente, e sopportare che questa lucidità si rivelasse estremamente fragile, pronta a scomparire dopo ogni piccola conquista, gli uomini, ragionando su una rappresentazione del mondo prodotta dalla storia dei loro simili hanno evidentemente una via di accesso più facile alla messa a nudo del sessismo, delle logiche d’amore e di violenza che lo sostengono, nonostante i progressi della civiltà. Perché allora quella difesa estrema, sempre meno convinta eppure ostinata, della neutralità, che si esprime non solo nel cancellare dalle analisi politiche il rapporto tra i sessi, ma anche in quella copertura che è la sua distorta collocazione tra le questioni sociali: emarginazione, cittadinanza incompleta, sfruttamento economico, beni comuni, ecc.?”

 

“Per quanto riguarda gli uomini, viene invece il sospetto che “sappiano” e che sia proprio l’evidenza del privilegiotoccato loro storicamente e diventato “destino”, copione di comportamenti obbligati, a dover essere in qualche modo aggirata, perché colpevolizzante e quindi innominabile.

La comunità storica maschile ha visto cadere imperi, muraglie, confini, odi che sembravano irriducibili, eppure esita a far cadere le fragili pareti che separano la sua civiltà dalla porta di casa, l’immagine della sua “virilità” pubblica dalla posizione di figlio,fratello, padre, marito, amante.”

Articolo pubblicato su Comune-info.net il 25 ottobre 2015, ‘Il circolo degli uomini e i privilegi rimossi’

 

Degne o indegne. Ma agli occhi di chi?

Gianluca Carmosino commenta:DEGNE O INDEGNE. MA AGLI OCCHI DI CHI?
L’uscita del senatore Vincenco D’Anna ha parentele ideologiche, filosofiche, scientifiche in alto loco e molti precedenti. “Sante” o “puttane”, degne o spudorate, è con il dominio dello sguardo dell’uomo, spiega Lea Melandri, che si è costruita la “natura” femminile [ph Nilde Guiducci]

L’articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2017 su Comune-info.net, clicca qui

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Se poesia e politica parlano la stessa lingua.

Il 12 aprile 1987 usciva su “L’Espresso” questo articolo di Elvio Fachinelli. A distanza di circa trent’anni, e pensando alle manifestazioni imprevedibili e sorprendenti (soprattutto dopo gli attentati terroristici di questi mesi) che stanno avvenendo in Francia, ho deciso di riproporlo per la sua profetica lucidità.

Che bella «rivoluzione»: oggi siamo tutti soli*
1987
Il mutamento dei costumi sessuali in Occidente (per favore, non la
«rivoluzione») comincia molto tempo fa, forse all’epoca di Abelardo
ed Eloisa. Ma per limitarci agli ultimi vent’anni in Italia, sentiamo e
sappiamo che ci sono notevoli differenze fra i settanta e gli ottanta.
Gli anni settanta si muovono, ondeggiano e fluttuano, si aprono dappertutto
a tentativi di uscire dalla famiglia, di far fuori la famiglia, l’esecrata
famiglia. C’è una specie di diffusa fobia per questa istituzione,
vista come luogo chiuso, coatto, defecatorio.
Ed ecco allora gruppi di affinità, di simpatia, di bizzarria o anche
soltanto di intolleranza per gli altri, che vanno avanti per un po’, poi
si dissolvono, spariscono per ricomparire eventualmente un po’ più in
là. Somigliano a quelle strutture chiamate cristalli liquidi, una bella
contraddizione a pensarci, ordinamenti fluidi, eppure aguzzi, e taglienti
per molti (è il momento fourierista dell’epoca, la ricerca e la
pratica di nuove armonie e disarmonie amorose) e subito dopo autodissolti,
svaniti, introvabili.
Dove siete finiti? Siete falliti, non è vero? Così dice la voce, quella
che suona più alta, degli anni ottanta. Ma altre voci mormorano: non
c’è fallimento, né scacco, non può esserci, dal momento che quelli lì
andavano secondo un altro ritmo, seguivano un’altra logica, piuttosto
enigmatica, a volte tragica, quella del desiderio, o della libertà (chi ha
mai detto che la libertà sia facile?). E alla fine si sono dissolti in ciò che
è venuto dopo, pronti a ricristallizzarsi in un momento chissà dove
* «L’Espresso», n. 14, 12 aprile 1987.
chissà quando. Anche con l’Aids, nuova cintura di castità, ombrello
sanitario, castigo degli infedeli. «Va’, va’, povero untorello, non sarai
tu che schianterai Metropoli».1 E anche nella reintegrata famiglia reaganiana,
che si vuole a guscio pieno, non vuoto, muro solido, non friabile,
e che a guardarla da vicino è invece piuttosto spesso una riunione
di single che stanno lì soprattutto per i figli.
Ed ecco i single, appunto, parola abbastanza nuova, però quasi un
emblema, che contrassegna tanti tipi strani, diversi, spesso infelici (ma
chi ha mai detto che la felicità del sesso stia in quell’idiota sorriso di
redenzione che aleggia sui volti dei «liberati sessuali»?). Tanti tipi
diversi uniti forse dall’essere eredi non testamentari, o continuatori
casuali, ricercatori extrafamiliari degli anni settanta che scoprivano
amori fantastici, irregolari, anche un po’ impossibili. Amori abbastanza
vicini a quelli che albeggiano oggi dalle videocassette nelle camere
dei single, prima di dormire o di vegliare; amori di sogno, o d’occasione,
o di crociera immaginaria, insomma amori di solitudini comuni,
come quelli delle comunità solitarie sparite nel vuoto verso la fine
degli anni settanta.
Che bella «rivoluzione»: oggi siamo tutti soli 1219
1 [Allusione alla battuta del monatto che scambia Renzo per untore e gli dice appunto: «Va’,
va’, povero untorello […] non sarai tu quello che spianti Milano» (A. Manzoni, I promessi sposi,
a cura di G. Getto, Sansoni, Firenze 1964, cap. 34, p. 831)].

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Via Tibaldi e il comunismo

Il diritto alla casa, le occupazioni a Milano nel 1971, le mie prime battaglie politiche con il movimento non autoritario e la rivista “L’erba voglio” ai suoi inizi.
Ringrazio le amiche e gli amici di Shake edizioni per la pubblicazione di uno dei miei primi scritti pubblici -“Via Tibaldi e il comunismo”, uscito sul n.2 della rivista settembre 1971, e poi nel libro “L’infamia originaria. Facciamola finita col Cuore e la Politica” ( 1977, 1997).
Sia la rivista che il libro sono oggi online.

C’è di che preoccuparsi…

C’è di che preoccuparsi…
“E’ un messaggio rivolto a tutti, ma forse c’è un terzo messaggio rivolto ad alcuni. Può essere una coincidenza, ma in molte delle scuole, anzi delle classi perquisite c’erano studenti appartenenti ai collettivi studenteschi. Se non è solo una coincidenza, allora il terzo messaggio è questo: vi controlliamo tutti, ma in particolare teniamo d’occhio voi che fate politica, voi dei collettivi, voi che vi definite comunisti o anarchici; rientrate nei ranghi, che è meglio per voi. E lei, professore, torni pure a parlare di Martin Heidegger. Non è successo niente”.

Testo completo

Quella che segue è la lettera di Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e scienze umane al Liceo “Piccolomini” Siena
“Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nella mia classe quinta, mentre stavamo parlando di Martin Heidegger. Irruzione è un termine forte, ma esatto in questo caso: nessuno ha bussato e chiesto il permesso. Hanno svolto un controllo antidroga facendo passare tra i banchi un pastore tedesco, poi sono andati via. A mani vuote, come si dice.Non è la prima volta che succede, naturalmente, anche se è la prima volta che succede a me. E’ successo, qualche giorno fa, al liceo Virgilio di Roma, e la cosa è finita sui quotidiani nazionali, perché il Virgilio è un liceo molto ben frequentato. E’ successo qualche giorno prima al Laura Bassi di Bologna, anche lì con molte polemiche. E’ successo e succede quotidianamente in decine di istituti tecnici e professionali, che fanno poco notizia perché non sono così ben frequentati come il liceo Virgilio di Roma. E due anni fa, a Terni, un docente è stato sospeso dall’insegnamento per essersi opposto all’ingresso delle forze dell’ordine in classe.
Quelli che sono favorevoli a queste incursioni ragionano come segue: spacciare è un reato, e il reato è un male, e va perseguito; se uno è a posto, nulla ha da temere. Diamo per buono questo ragionamento, ed esaminiamone le conseguenze. Se è così, allora è cosa buona e giusta che le forze dell’ordine facciano irruzione nelle abitazioni private. Sarebbe un modo efficacissimo per combattere il crimine. Controlli a tappeto, a sorpresa, nelle case di tutti. Poliziotti, carabinieri, cani antidroga. In qualsiasi momento aspettatevi che qualcuno bussi alla vostra porta. Che un cane fiuti tra le vostre cose. Se siete a posto, non avete nulla da temere. E perché non estendere i controlli anche nei luoghi di culto? Sì, lo so, molti di voi stanno pensando alle moschee: e la cosa a molti non dispiacerebbe. Ma io penso alle chiese. Immaginate un’irruzione delle forze dell’ordine in una chiesa, durante un rito. I cani tra i banchi che annusano. Cinque minuti e tutto è finito. Se qualcuno ha della droga, lo si porta via. E amen, come si dice.Non vi piace l’idea? Perché? Perché nel primo caso si tratta di un luogo privato, nel secondo caso si tratta di un luogo sacro, direte. E la scuola che luogo è? Io che vi insegno, la considero al tempo stesso un luogo privato – una casa – ed un luogo sacro. Il più sacro dei luoghi, perché è quello in cui si formano gli uomini e le donne di domani. Ma, direte, la scuola è un luogo dello Stato, ed è bene che le forze dell’ordine dello Stato controllino un luogo dello Stato. E’ cosa loro, per così dire. Bene, concedo anche questo. Ed anche in questo caso, vediamo le conseguenze. Il Parlamento è un luogo dello Stato. E’ il luogo più importante dello Stato. E’ lo Stato. Che succederebbe se delle forze facessero irruzione in Parlamento con cani antidroga? Sarebbe una cosa sensatissima, perché in Parlamento si fanno leggi che riguardano la vita di tutti, ed è assolutamente vitale per la salute della nostra democrazia ed il futuro dello Stato che chi fa le leggi sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Eppure se succedesse una cosa del genere, sarebbe un grande scandalo politico. Perché? Per lesa maestà. Perché è umiliante per un senatore essere perquisito, annusato. Sospettato di essere un drogato, o peggio uno spacciatore.
E veniamo al dunque. Quando io vengo a casa tua – perché la scuola è la casa degli studenti – e ti sottopongo a perquisizione, io ti sto dando diversi messaggi. Il primo è che ti considero una persona poco raccomandabile. Non è una questione personale: può essere che tu sia a posto, ma è poco raccomandabile la categoria cui appartieni. Il fatto stesso che si facciano controlli antidroga è una conseguenza dell’infimo status degli adolescenti nella nostra società. E’ risaputo che l’alcol fa in Italia diverse migliaia di morti e causa tragedie terribili. Eppure la vendita di questa sostanza stupefacente pericolosissima è consentita. Lo Stato consente la vendita di alcolici, per giunta con il suo monopolio, mentre i Comuni promuovono apertamente il consumo di vino ed altri alcolici con apposite manifestazioni locali. Il consumo di alcolici è consentito perché è cosa da adulti. E’ una abitudine diffusa tra persone perbene, stimabili, con un buono status sociale. La droga, che fa meno morti dell’alcol, è invece roba da adolescenti, da ragazzetti, da soggetti con uno status marginale: dei minus habentes. E’ significativo che il consumo e lo spaccio di hashish e marijuana siano perseguiti con molto più zelo del consumo e dello spaccio di cocaina, una sostanza molto diffusa tra soggetti dotati di uno status anche considerevole, come professionisti e politici. Non è la sostanza stupefacente il problema. Se così fosse, l’alcol sarebbe proibito. Il problema è chi consuma, non cosa consuma.
Il secondo messaggio è che la scuola è un posto in cui non ti puoi sentire come a casa. Per quanto ti stimi poco, non verrei mai a perquisirti a casa, a meno che non abbia un mandato. Ma a scuola sì. A scuola ti tengo d’occhio. Rispondendo alle polemiche dei genitori per i controlli antidroga al liceo Laura Bassi di Bologna, il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha dichiarato:”trova ancora spazio l’arcaico convincimento ideologico che l’università e più in generale gli istituti scolastici godano di una sorta di extraterritorialità“. Nessuna extraterritorialità. Non siete a casa vostra, siete in un posto in cui possiamo entrare e uscire quando vogliamo. Possiamo perquisirvi, possiamo farvi annusare dai nostri cani. Siete sotto il nostro controllo. Del resto, non sono gli adolescenti di continuo sotto il controllo dei professori? Non sono di continuo osservati, richiamati, sanzionati se non si comportano come si deve? Ecco dunque il poliziotto ed il carabiniere che vengono a ribadire il concetto, nel caso in cui non fosse abbastanza chiaro. La scuola è un luogo in cui siete controllati e controllabili, perquisiti e perquisibili. Non è una casa della cultura e dell’educazione, come qualcuno potrebbe dire retoricamente. Non ha nulla di sacro. E’ una istituzione che raccoglie – concentra – dei minus habentes, e non è escluso che concentrarli per controllarli sia il suo scopo principale.
E’ un messaggio rivolto a tutti, ma forse c’è un terzo messaggio rivolto ad alcuni. Può essere una coincidenza, ma in molte delle scuole, anzi delle classi perquisite c’erano studenti appartenenti ai collettivi studenteschi. Se non è solo una coincidenza, allora il terzo messaggio è questo: vi controlliamo tutti, ma in particolare teniamo d’occhio voi che fate politica, voi dei collettivi, voi che vi definite comunisti o anarchici; rientrate nei ranghi, che è meglio per voi. E lei, professore, torni pure a parlare di Martin Heidegger. Non è successo niente”.
Antonio Vigilante, insegnante di filosofia e scienze umane al Liceo “Piccolomini” Siena

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Affascinate dalla politica ‘neutra’

Perché nella maternità adoriamo il sacrificio?” -si chiedeva nel romanzo Una donna Sibilla Aleramo. A distanza di oltre un secolo, osservando come si muovono le donne nelle istituzioni della sfera pubblica, la domanda potrebbe essere così riformulata: “Perché ci conformiamo con tanta facilità alla politica ‘neutra’?”. E’ così difficile uscire dall’oscillazione tra le figure opposte e complementari del ‘femminile’ e del ‘maschile’, per muoversi “su un altro piano” (Lonzi), che non sia quello dei modelli imposti di cui finalmente si comincia a vedere l’astrattezza e la violenza?
Evidentemente sì, se teniamo conto che donne, anche con esperienza femminista, quando sono all’interno di partiti, movimenti, amministrazioni, parlamenti, sindacati, giornali, dibattiti televisivi, ecc., parlano una lingua che non porta alcuna traccia delle consapevolezze acquisite. La ‘doppia militanza’ – come veniva chiamata negli anni ’70- al confronto appare come un esempio raro di coerenza e di combattività.
Il ‘neutro’, in quanto pensiero e linguaggio astratto dai corpi, dalla loro appartenenza all’uno o all’altro sesso e ai rapporti di potere che ne hanno segnato la storia, non c’è da meravigliarsi se affascina anche le donne. Identificate con la sessualità, la maternità, con la materia priva di un Io, di una personalità, l’unico modello di individuazione – o, se si preferisce, di emancipazione- è rimasto fino ad ora quello maschile, con la sua pretesa di universalità e trascendenza rispetto al reale.
Eppure oggi le condizioni per smascherare il potere culturale e politico maschile, che si cela dietro il ‘neutro’ non mancano. Penso ad esempio al dibattito che si è aperto in Francia, ma anche in Italia, sull’introduzione nella scuola di una riflessione critica sulle figure di genere, sulla famiglia e sui cambiamenti che l’attraversano. Penso al ritorno, prevedibile come sono le fantasie ossessive, della campagna antiaborto (in Spagna, ma in forme diverse anche nel nostro paese per l’aumento degli obiettori di coscienza); penso al limite di sopportabilità a cui è arrivato il doppio lavoro delle donne, in casa e fuori; penso a quanto sta cambiando nel quotidiano la relazione tra i sessi e alle esplosioni preoccupanti di sessismo di fronte a scelte femminili di libertà.
Ma anche restando all’economia, considerata da tutti una ‘priorità’, come si può non tenere conto di quanto pesi sulla logica dominante del mercato, del profitto, della produzione illimitata di merci, dell’esaurimento delle risorse naturali, sullo sfruttamento della forza lavoro, ecc., la divisione dei ruoli sessuali, che ha permesso finora alla sfera pubblica di pensarsi svincolata dalla conservazione della vita, dai problemi di dipendenza e cura degli esseri umani?
Perché allora non prendere coraggio e pretendere come condizione per una candidatura o per il sostegno a un movimento, a un partito, che sia messa a tema del programma politico la critica al dominio maschile e alle sue ricadute nel privato e nel pubblico, nella cultura, nell’educazione, così come nelle relazioni intime?
Le figure di genere strutturano i rapporti di potere, ma come dice Pierre Bourdieu nel suo libro, Il dominio maschile, vivono anche “nell’oscurità dei corpi”. Perché Pierre Bourdieu, alla sinistra ‘radicale’ piace solo quando critica il neoliberismo?

Il Festival “italiano” per eccellenza e l’incentivo alla maternità: come non pensare a una forma sia pure lata di “nazional-fascismo”?

Il FERTILITY DAY in versione ROCKY HORROR PICTURE SHOW.
A che servono tanti Osservatori sulla pubblicità, Associazioni di giornaliste, studi e pubblicazioni sugli stereotipi di genere, e così via, se poi si lascia passare uno spot come questo, dove si mescolano con una volgarità senza limiti spettacolo, business e incentivo governativo contro il calo delle nascite?
Da togliere immediatamente!

Per leggere la fonte, da ‘Il Manifesto’, clicca qui

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Se le viscere della storia occupano la sfera pubblica

Il pericolo che molti vedono incombere sulla democrazia nel nostro Paese raramente viene associato alla crisi, più generale e più datata della politica: la modificazione lenta ma inarrestabile dei confini che per secoli hanno circoscritto e confuso lo spazio pubblico con il suo governo, le sue istituzioni, le sue leggi, i suoi linguaggi, e, prima ancora, con il dominio di un sesso solo.
Se la nostra cultura non si fosse dimostrata finora così ottusamente refrattaria ad accogliere analisi attente ai nessi tra corpo e politica, tra virilità e costruzione storica della sfera pubblica, risulterebbe evidente che la norma e la trasgressione, l’ordine e la perdita di controllo, la legge e la sua sistematica violazione, il bene collettivo e l’egoismo individuale, la civiltà e la barbarie, non hanno mai smesso di affrontarsi e confondersi nello spazio pubblico, sotto la spinta di contesti economici e politici mutevoli, ma ubbidendo nel medesimo tempo a quella ‘invariante’ della storia che è l’identificazione dell’umano perfetto con la maschilità, e tutte le contrapposizioni che ha prodotto –tra l’amico e il nemico, il cittadino e lo straniero.
L’irruzione del ‘femminile’ nella vita pubblica –inteso non solo come presenza quantitativa delle donne nel luogo da cui sono state tradizionalmente escluse, ma come protagonismo e rivalsa di tutto ciò che è stato identificato col ‘sesso debole’- non poteva non intaccare i fondamenti della politica, mettere in discussione i concetti di libertà, democrazia, uguaglianza, fraternità, diritto, ridefinire in modo meno astratto la figura del cittadino.
Se l’occasione di portare al centro della responsabilità collettiva la vita nella sua interezza si sta trasformando in ‘antipolitica’ -rovesciamento dei rapporti tra ordine e caos, realtà e immaginario, ragione e sentimenti- è perché si continuano ad ignorare i percorsi di liberazione e di allargamento dell’impegno politico aperti dalle culture alternative degli anni ’70, in particolare dal femminismo, e oggi dalle associazioni di uomini che si interrogano sulla storia dal punto di vista del sesso che ne è stato protagonista.
Quello che molti di noi scoprirono allora, come insegnanti, operatori sociali, studenti, operai, nel momento in cui si abbandonavano gli strumenti tradizionali del controllo e della repressione, avrebbe dovuto allarmare molto più delle forze conservatrici che ci fecero guerra.
Le pratiche non autoritarie nella scuola, negli asili autogestiti, nelle assemblee autonome sorte all’interno delle fabbriche, che generalmente vengono additate da destra e da sinistra come la causa remota del degrado attuale, sono state, al contrario, il primo svelamento della massificazione precoce, la denuncia del caos che si cela dietro i sistemi istituzionali di controllo e sicurezza.
“Eludendo la figura dell’adulto -annotava Elvio Fachinelli in Masse a tre anni ( L’erba voglio, Einaudi, 1971)-, astrattamente considerata ‘autoritaria’, si vede sorgere una gerarchia di ferro, basata sulla forza e la prepotenza, che impronta di sé i rapporti dei bambini tra loro (…) sembra di trovarsi in una società violenta, tra il fascista e il mafioso”. Erano segnali piccoli ma inequivocabili, portati allo scoperto dalla consapevolezza delle mutilazioni che si era inflitta la politica, e dall’idea che bisognasse partire da lì, da quei corpi che arrivano all’asilo “già rattrappiti e coartati”, per trovare nuove forme d’amore e di convivenza umana.
La crisi dell’autorità paterna nell’ambito famigliare, e il declino delle istituzioni della vita pubblica, avrebbero poi subìto un’accelerazione imprevista sotto l’urto della società dei consumi, della sua potenza invasiva e divorante, della sua indifferenza per norme e limiti di ogni specie. Così è accaduto che, quando ancora le donne muovevano i primi passi da cittadine sotto tutti gli effetti, a farla da vincitore fosse il ‘femminile’ costruito dall’uomo, la visceralità che la storia si è portata dietro e che insidia da sempre il suo processo di incivilimento.
Nella foto: Escher

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L’irruzione del femminile

L’IRRUZIONE DEL “FEMMINILE”
“Si continuano ad ignorare i percorsi di liberazione e di allargamento dell’impegno politico aperti dalle culture alternative degli anni Settanta, in particolare dal femminismo… Le pratiche non autoritarie nella scuola, negli asili autogestiti, nelle assemblee autonome sorte all’interno delle fabbriche… sono state il primo svelamento della massificazione precoce, la denuncia del caos che si cela dietro i sistemi istituzionali di controllo e sicurezza… ”

Articolo pubblicato il 9.X.2016 su Comune-info.net, per leggerlo clicca qui

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