Chi ha paura di Facebook?

Non si può liquidare come trionfo del narcisismo un fenomeno che sta abbattendo tante barriere –pudore, riservatezza, vergogna, banalità, insignificanza, ecc.-, che muove un arco imprevedibile di sentimenti, pensieri, fantasie, desideri, sogni, che gioca sulla dipendenza e la seduzione, sul bisogno di affetto e di condivisione.
Chi è invitato a consegnare i suoi pensieri a una pagina solitaria e al medesimo tempo visitata da molteplici possibili sguardi, si muove come un funambolo tra sponde opposte, ma oggi inseparabili: da una parte, l’amore di sé che cerca, come agli inizi della vita, conferme esistenziali e affettive, dall’altra una società che sembra aver perso lo spazio intermediario della famiglia, per cui potrebbe riprodurla, ma anche volerne sperimentare l’assenza.
Una corda tesa tra sé e sé, tra sé e mondo, una sospensione del già noto che non rinuncia tuttavia a mettere in campo, con una libertà finora sconosciuta, quello che c’è di più quotidiano, intimo e particolare in ogni singola vita. Se, come dicono le statistiche, sono soprattutto le donne che fanno uso dei social network, bisogna ammettere che un grande passo avanti è stato fatto da quando una pagina di diario finiva in un cassetto, preziosa e, contemporaneamente, destinata a perdersi come i sogni.
Non dovremmo meravigliarci se il bisogno di pensarsi come individualità concreta, restituita all’interezza del proprio essere, si manifesta come “ripresa” di un sé intento a ricostruire la propria immagine attraverso quello “specchio digitale”che, al medesimo tempo, lo isola e lo espone al mondo.
Il rischio che l’immagine prenda il sopravvento e che la libertà vada a coincidere paradossalmente con una “nuova schiavitù”, quale è la “costrizione a comunicare”, in effetti c’è.
Ma nessuna acquisizione nuova della coscienza, nessuno svelamento di un “rimosso” storico, può considerarsi indenne da limiti, ripiegamenti o sconfitte. Per questo l’attenzione alla strada che si sta percorrendo non è mai troppa, e gli “apocalittici” sono, da questo punto di vista, un prezioso indicatore di marcia

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I social

Narcisismo o ricerca di nuove forme di socializzazione a partire dalla propria singolarità?
Le visioni apocalittiche hanno senza dubbio un merito: non si lasciano accecare dal dio del progresso e, dove altri appaiono storditi dai suoi effetti speciali, esse puntano pervicacemente lo sguardo sulle insidie che si porta dietro.
“Lo smartphone” -si legge nel libro di Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo 2015– si può considerare “la riedizione post-infantile dello stadio dello specchio: dischiude uno spazio narcisistico, una sfera dell’immaginario nella quale rinchiudermi.”
Gli individui nell’era digitale sono sì isolati, ma tutti alla ricerca di un loro “profilo”, anzi “lavorano senza posa all’ottimizzazione di sé”, ambiscono insistentemente all’attenzione. Le ideologie, che una volta costituivano l’orizzonte politico, si disgregano, ma come non giudicare positivo il fatto che al loro posto subentri una “infinità di opinioni e opzioni individuali”, la richiesta di “maggiore partecipazione e trasparenza”, sintomo della crisi che attraversa oggi la democrazia rappresentativa?
Il “Noi”, così come lo abbiamo ereditato da secoli di dominio maschile, ha conosciuto una serie infinita di esclusioni: fuori dalla sfera pubblica, dalle sue istituzioni, dalle sue forme organizzative, non sono rimaste solo le donne, ma tutto ciò che segnalava una diversità: gruppi sociali, popoli ed esperienze umane, come la sessualità, la maternità, considerate “non politiche”. Si è dovuto arrivare alla metà del secolo scorso per riconoscere la politicità della vita personale e uscire da contrappposizioni astratte: maschile/femminile, corpo/pensiero, individuo/collettivo, ecc.
Non dovremmo meravigliarci perciò se il bisogno di pensarsi come individualità concreta, restituita all’interezza del proprio essere, si manifesta come “ripresa” di un sé intento a ricostruire la propria immagine attraverso quello “specchio digitale”che, al medesimo tempo, lo isola e lo espone al mondo.
Il rischio che l’immagine prenda il sopravvento e che la libertà vada a coincidere paradossalmente con una “nuova schiavitù”, quale è la “costrizione a comunicare”, in effetti c’è.
Ma nessuna acquisizione nuova della coscienza, nessuno svelamento di un “rimosso” storico, può considerarsi indenne da limiti, ripiegamenti o sconfitte. Per questo l’attenzione alla strada che si sta percorrendo non è mai troppa, e gli “apocalittici” sono, da questo punto di vista, un prezioso indicatore di marcial social.

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