Figlia e/o madre. La “fissazione infantile del patriarcato” (V.Woolf)
L’apparente ‘reciprocità’ del sogno d’amore.
Nel sogno d’amore si mescolano: la nostalgia di una iniziale beatitudine perduta, ma anche la spinta a saldare la ferita che la storia, il dominio maschile ha aperto, oltre che tra l’uomo e la donna, tra il corpo e il linguaggio, la natura e la cultura, l’infanzia e la storia, la casa e la polis, l’individuo e la società. Identificando la donna con il corpo, la radice organica di ogni vivente, è come se l’uomo avesse prodotto anche su di sé una lacerazione, uno sdoppiamento, creando artificiosamente figure complementari, spinte di necessità a riunificarsi. Il sogno ‘fusionale’ mira a ricostituire un intero, ma, venendo dal versante della storia e del suo protagonista, l’unico che si è riservato per secoli un’anima, un Io morale, una coscienza, la ricomposizione non poteva che avvenire sull’uomo.
La seduzione che agisce nell’innamoramento risente di queste componenti, che mettono in ombra il rapporto di potere tra i sessi, rendendo tutt’oggi difficile distinguere la violenza dall’amore. Innanzi tutto, ricompaiono nell’abbraccio amoroso le figure della madre e del figlio, in un capovolgimento continuo delle parti, per cui a volte è una donna-madre che sembra accogliere e assorbire in sé un uomo-figlio; a volte, è l’uomo che dalla sua posizione di privilegio, di maggior forza, si pone come figura protettiva, materna, rispetto a una donna piccola figlia debole, affidata alle sue cure.
E’ questo aspetto apparente di ‘reciprocità’ che ha fatto pensare e vivere l’amore come “tregua” nella “guerra tra i sessi”. Sono, non a caso, gli adoratori delle madri, i teorici romantici del “matrimonio d’amore”, molto apprezzati dalle donne, a dare descrizioni esaltanti dell’ “estasi” amorosa.
Scrive Paolo Mantegazza nelle Estasi umane (1887):
“Siamo rapiti in estasi e speriamo di confonderci e sparire in quella donna…sparire e confondersi, non trovare più il nostro Io, non distinguere più qual differenza passi tra noi e lei, fra l’amare e l’essere, fra l’uno e il due. L’uomo e la donna disgiunti sulla terra, ricongiunti nel cielo.”
“Possedere ed essere posseduti, formula prima ed ultima, scheletro psicologico di ogni amore. E perché amiamo noi con tanta passione i piedi piccoli, le mani piccole, breve l’equatore che passa intorno al corpo delle nostre donne? Perché è là che noi prendiamo possesso dell’oggetto amato, e più si fonde e scompare nella nostra mano la mano di lei…l’assorbimento è completo.”
E, prima di lui, Jules Michelet, nel libro L’amore (1858):
“L’uomo, più anziano della donna, sovrasta la sua compagna per esperienza, e l’ama quasi come una figlia…quando però il mestiere e la fatica hanno curvato l’uomo, la donna, sobria e seria, vero genio della casa, è amata da lui come una madre.
“La donna entra intera nell’unione, per sempre. Vuol rinascere insieme con lui e per suo tramite. Bisogna prenderla in parola, rifarla, rinnovarla, crearla…Intuisce che l’amerai di più, sempre di più, se diventa tua e te stesso. Prendila dunque, in quel modo in cui si da, sopra il tuo cuore e nelle tue braccia, come un piccolo tenero bimbo.”
Ma la ‘reciprocità’ è solo apparente, la bella favola costruisce castelli sulla sabbia. Dietro, infatti, traspare immediatamente l’ordine patriarcale che subordina la donna agli interessi e al bene dell’uomo. Se, agli occhi dell’uomo-figlio la madre è la donna potente che lo ha generato, accudito, e che ancora lo accoglie tra le sue braccia, per l’uomo-padre, che la storia ha visto trionfare e prendere distanza dalle sue radici biologiche, è colei che è chiamata, restando sempre madre, anche quando è diventata moglie, compagna dell’uomo, a “rigenerarlo” fisicamente, psicologicamente, moralmente, dalle fatiche del lavoro, sostenerlo e confortarlo nel suo impegno sociale e pubblico.
Anzi, di più: a trasferire su di lui tutte le sue energie, la sua vita stessa, fino a “diventare lui”.
Nella pedagogia dell’amore di autori come Michelet e Mantegazza, alla donna, che in passato era stata vista solo come corpo, viene riconosciuta un’ “anima”, ma è un’anima che deve nutrirsi e vivere dei pensieri degli uomini, assecondare, anzi “prevenire” i loro bisogni e desideri, a “compenetrarsi” dell’amato, fino a essere tutt’uno con lui.
La “servitù della donna –dice Michelet- viene dalla natura”, che la consegna all’uomo “debole, amorosa, dipendente”, bisognosa di essere amata e protetta. La storia si è limitata a rafforzare con le sue istituzioni e le sue leggi il privilegio naturale dell’uomo, e ora chiede alla coscienza maschile “moderna” di mettere in campo la sua “magnanimità”: accogliere la donna, moglie e madre, come fonte di sussistenza, ma anche di rinnovamento morale per la sua famiglia e la sua civiltà.
(L.Melandri, “Il dominio e l’amore”, in “La biblioteca dei maschi e delle femminine”, a cura di Vincenzo Campo, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2009)
