Una lucida follia

Stralci di un percorso personale e politico
La centralità che ha avuto il tema dell’amore nel mio percorso intellettuale e politico all’interno del movimento delle donne -in modo abbastanza solitario- è dovuta, almeno in parte, a un tratto romantico, sentimentale, che viene da qualche zona remota della mia storia personale. Più precisamente, si tratta di una singolare commistione di sogno e lucidità di analisi che ho ritrovato in Sibilla Aleramo e che ho cercato di analizzare nel mio libro Come nasce il sogno d’amore .
Ma c’è anche la spinta, radicata anch’essa nel mio passato, a tenere fermo lo sguardo su quella zona ancora oscura ed enigmatica che è l’origine, la preistoria dell’individuo e della specie.
Partire dalla memoria del corpo –dai sedimenti profondi della vita psichica- per interrogare il rapporto tra i sessi, vuol dire riconoscere che il dominio maschile non nasce da una volontà malvagia dell’uomo, o da una sua ‘naturale’ pulsione di morte, ma da passaggi inconsapevoli di necessità che riguardano lo sviluppo della specie umana, il passaggio dalla natura alla cultura.
Per tornare al percorso autobiografico che sta dietro ogni teorizzazione, anche la più astratta, devo dire che la centralità che ho dato alle tematiche del corpo è strettamente legata alla mia origine: figlia femmina di famiglia contadina che ha avuto il singolare privilegio di poter studiare. Il dualismo corpo-pensiero, natura-cultura, femminile-maschile, era nella mia condizione di partenza, e ha reso particolarmente lento, difficile, contrastato, il processo di emancipazione tradizionalmente inteso. Ho sentito a lungo estranea la vita pubblica, i suoi linguaggi, i suoi saperi, le sue istituzioni, mentre è stato molto forte il legame con la cultura e i linguaggi dell’uomo-figlio: filosofia, religione, arte.
Nel momento in cui avrei potuto “emanciparmi”, dopo la fuga dal paese d’origine e l’arrivo a Milano, ho incontrato, per mia felice sorte, il movimento non autoritario del ’68 nella scuola e il femminismo, che partivano proprio dal corpo, dalla vita personale, dalla sessualità, per mettere in discussione l’ordine esistente, la divisione tra pubblico e privato, la relazione tra i sessi.
Ho cominciato allora a rendermi conto che quello che nei miei studi liceali era rimasto il “fuori tema” –una materia di esperienza dolorosa e intraducibile nelle lingue colte- poteva, nella prospettiva di una profonda rivoluzione culturale, diventare “il tema”. Nello stesso tempo, cominciavo a riflettere sui nessi, i legami che ci sono sempre stati, tra un polo e l’altro del dualismo, sulle implicazioni inconsapevoli che la dualità, come costruzione maschile, aveva con l’interiorizzazione da parte delle donne di un’unica visione del mondo.
Ricerca di nessi voleva dire per me, da un lato continuare a scavare a fondo nel vissuto corporeo, psichico, intellettuale del singolo -autocoscienza, scrittura di esperienza-, dall’altro, partendo da questo sguardo e da questa lenta modificazione di sé , intesa come autonomia da pregiudizi, habitus mentali, schemi cognitivi incorporati, affrontare i saperi e i poteri della vita pubblica.
Ho cominciato a farlo dagli anni ’70, individualmente e collettivamente -dal gruppo “sessualità e scrittura”, ai corsi della donne, alla rivista “Lapis. Percorsi della riflessione femminile”-, ma in modo ancora libresco o filtrato dai saperi disciplinari che mi erano famigliari, come la letteratura, la filosofia, la psicanalisi.
Gli anni ’80 hanno rappresentato, per quanto mi riguarda, l’inizio di una riflessione e di una scrittura più specificamente legata ai temi dell’immaginario amoroso: rubriche di “posta del cuore”, “scrittura di esperienza”, analisi del “sogno d’amore”.
Nel momento in cui prevaleva nel femminismo l’orgoglio dell’appartenenza di sesso, la voglia di “vivere con agio”, l’affermazione della fine del patriarcato, occuparsi del sogno d’amore -dal libro che stavo scrivendo alle rubriche di posta del cuore su “Ragazza In” e su “Noi donne”- fu visto da alcune come un tornare sulla “miseria femminile”. Per me ha voluto dire invece riprendere e approfondire l’intuizione originale del femminismo: il dualismo sessuale, la consapevolezza che le figure di genere non hanno dato forma solo a rapporti e gerarchie di potere tra uomini e donne, ma, come conseguenza della complementarità, anche all’amore tra i sessi, al sogno di ricongiungimento di “nature”diverse, e all’ideale di interezza dell’individuo.
Finché il maschile e il femminile sono visti come poli complementari, come se fossero le due metà di un intero, c’è nell’amore una “terribile necessità”.
Come spiegare altrimenti un’interiorizzazione della visione maschile del mondo così duratura? Come spiegare una subalternità così evidente delle donne nella vita pubblica, l’emancipazione come assimilazione al neutro? La difficoltà è pensare l’interezza del proprio essere fuori dall’ideale androgino, di cui parla Virginia Woolf.
La complementarità è ingannevole, ma esercita ancora una grande attrazione: basta pensare al protagonismo che hanno preso le due grandi attrattive delle femminilità nelle sfera pubblica: la maternità e la seduzione. Il processo di autonomia dai modelli interiorizzati ha ancora molta strada da fare. Ma, soprattutto, interessa uomini e donne, interroga la femminilità come la maschilità.

Screen Shot 2016-06-10 at 6.47.37 AM

L’apparente ‘reciprocità’ del sogno d’amore.

Figlia e/o madre. La “fissazione infantile del patriarcato” (V.Woolf)
L’apparente ‘reciprocità’ del sogno d’amore.

Nel sogno d’amore si mescolano: la nostalgia di una iniziale beatitudine perduta, ma anche la spinta a saldare la ferita che la storia, il dominio maschile ha aperto, oltre che tra l’uomo e la donna, tra il corpo e il linguaggio, la natura e la cultura, l’infanzia e la storia, la casa e la polis, l’individuo e la società. Identificando la donna con il corpo, la radice organica di ogni vivente, è come se l’uomo avesse prodotto anche su di sé una lacerazione, uno sdoppiamento, creando artificiosamente figure complementari, spinte di necessità a riunificarsi. Il sogno ‘fusionale’ mira a ricostituire un intero, ma, venendo dal versante della storia e del suo protagonista, l’unico che si è riservato per secoli un’anima, un Io morale, una coscienza, la ricomposizione non poteva che avvenire sull’uomo.

La seduzione che agisce nell’innamoramento risente di queste componenti, che mettono in ombra il rapporto di potere tra i sessi, rendendo tutt’oggi difficile distinguere la violenza dall’amore. Innanzi tutto, ricompaiono nell’abbraccio amoroso le figure della madre e del figlio, in un capovolgimento continuo delle parti, per cui a volte è una donna-madre che sembra accogliere e assorbire in sé un uomo-figlio; a volte, è l’uomo che dalla sua posizione di privilegio, di maggior forza, si pone come figura protettiva, materna, rispetto a una donna piccola figlia debole, affidata alle sue cure.
E’ questo aspetto apparente di ‘reciprocità’ che ha fatto pensare e vivere l’amore come “tregua” nella “guerra tra i sessi”. Sono, non a caso, gli adoratori delle madri, i teorici romantici del “matrimonio d’amore”, molto apprezzati dalle donne, a dare descrizioni esaltanti dell’ “estasi” amorosa.

Scrive Paolo Mantegazza nelle Estasi umane (1887):
“Siamo rapiti in estasi e speriamo di confonderci e sparire in quella donna…sparire e confondersi, non trovare più il nostro Io, non distinguere più qual differenza passi tra noi e lei, fra l’amare e l’essere, fra l’uno e il due. L’uomo e la donna disgiunti sulla terra, ricongiunti nel cielo.”
“Possedere ed essere posseduti, formula prima ed ultima, scheletro psicologico di ogni amore. E perché amiamo noi con tanta passione i piedi piccoli, le mani piccole, breve l’equatore che passa intorno al corpo delle nostre donne? Perché è là che noi prendiamo possesso dell’oggetto amato, e più si fonde e scompare nella nostra mano la mano di lei…l’assorbimento è completo.”

E, prima di lui, Jules Michelet, nel libro L’amore (1858):
“L’uomo, più anziano della donna, sovrasta la sua compagna per esperienza, e l’ama quasi come una figlia…quando però il mestiere e la fatica hanno curvato l’uomo, la donna, sobria e seria, vero genio della casa, è amata da lui come una madre.
“La donna entra intera nell’unione, per sempre. Vuol rinascere insieme con lui e per suo tramite. Bisogna prenderla in parola, rifarla, rinnovarla, crearla…Intuisce che l’amerai di più, sempre di più, se diventa tua e te stesso. Prendila dunque, in quel modo in cui si da, sopra il tuo cuore e nelle tue braccia, come un piccolo tenero bimbo.”
Ma la ‘reciprocità’ è solo apparente, la bella favola costruisce castelli sulla sabbia. Dietro, infatti, traspare immediatamente l’ordine patriarcale che subordina la donna agli interessi e al bene dell’uomo. Se, agli occhi dell’uomo-figlio la madre è la donna potente che lo ha generato, accudito, e che ancora lo accoglie tra le sue braccia, per l’uomo-padre, che la storia ha visto trionfare e prendere distanza dalle sue radici biologiche, è colei che è chiamata, restando sempre madre, anche quando è diventata moglie, compagna dell’uomo, a “rigenerarlo” fisicamente, psicologicamente, moralmente, dalle fatiche del lavoro, sostenerlo e confortarlo nel suo impegno sociale e pubblico.
Anzi, di più: a trasferire su di lui tutte le sue energie, la sua vita stessa, fino a “diventare lui”.
Nella pedagogia dell’amore di autori come Michelet e Mantegazza, alla donna, che in passato era stata vista solo come corpo, viene riconosciuta un’ “anima”, ma è un’anima che deve nutrirsi e vivere dei pensieri degli uomini, assecondare, anzi “prevenire” i loro bisogni e desideri, a “compenetrarsi” dell’amato, fino a essere tutt’uno con lui.
La “servitù della donna –dice Michelet- viene dalla natura”, che la consegna all’uomo “debole, amorosa, dipendente”, bisognosa di essere amata e protetta. La storia si è limitata a rafforzare con le sue istituzioni e le sue leggi il privilegio naturale dell’uomo, e ora chiede alla coscienza maschile “moderna” di mettere in campo la sua “magnanimità”: accogliere la donna, moglie e madre, come fonte di sussistenza, ma anche di rinnovamento morale per la sua famiglia e la sua civiltà.

(L.Melandri, “Il dominio e l’amore”, in “La biblioteca dei maschi e delle femminine”, a cura di Vincenzo Campo, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2009)

13288165_1770690496500204_2130045_o